Notizie Notizie Mondo L’economia mondiale si sta nipponizzando. Europa e Cina sono i più esposti alla “sindrome giapponese”

L’economia mondiale si sta nipponizzando. Europa e Cina sono i più esposti alla “sindrome giapponese”

12 Maggio 2016 11:57
 
La “sindrome giapponese”, caratterizzata bassa crescita, bassa (o negativa) inflazione e bassi rendimenti azionari, che imperversa in Giappone da circa 25 anni, si sarebbe estesa alla Cina e all’Europa. Ma si sarebbe fermata ai confini degli States, dove non dovrebbe sussistere il rischio-deflazione. Quest’ultimo è infatti in assoluto il principale timore dei dottori dell’economia. “I deflatori del Pil – spiega  Allan Conway, Head of Emerging Market Equities di Schroders, che ha dedicato un report alla sindrome giapponese – stanno certamente segnalando numeri bassi,  ma ci sono alcune importanti differenze rispetto a quanto sperimentato dal Giappone negli anni ’90, quando – dopo il suo percorso di crisi – Tokyo era già in territorio ampiamente deflativo”. Gli Stati Uniti e l’Eurozona sembrano invece essersi stabilizzati su livelli di inflazione bassi, ma positivi. Mentre la Cina, è il Paese che mostra il trend più preoccupante, con un deflatore in rapida discesa e, per il momento, nessun segnale di stabilizzazione.
 
La bomba deflativa
 
In Occidente quindi la deflazione è una minaccia, ma non ancora una certezza. Che cosa fare dunque per evitarla? “Negli Stati Uniti non molto – risponde Conway – Il mercato del lavoro è flessibile e le banche sono efficienti. Se la minaccia deflazione dovesse intensificarsi, il governo potrebbe prendere in considerazione misure fiscali, come il condono dei debiti, per esempio quelli contratti durante il percorso di studi universitari”. Quanto all’Eurozona, secondo lo strategist, se la Germania gode di una posizione fiscale solida, i vincoli fiscali stanno ostacolando gli sforzi dell’Italia nel ripulire e ricapitalizzare le banche, ma c’è ancora spazio per investimenti nelle infrastrutture pubbliche. “Nel momento in cui la politica fiscale frena la domanda e blocca le riforme strutturali, allora significa che è troppo stringente – è il parere di Conway – Il vero punto interrogativo dell’Europa è se il quadro politico-istituzionale dell’area euro potrà permettere un’inversione di marcia e accettare una politica fiscale espansionistica“.
 
Faro sulla Germania
 
Inoltre, nel rispondere alla grande crisi, l’Eurozona ha seguito un percorso non omogeneo. Per esempio, alcuni dei Paesi più colpiti dalla crisi hanno attuato riforme significative. Nel caso della Spagna, secondo Conway, potrebbero persino essere state sufficienti. Anche in Grecia molto è stato fatto, ma il resto dell’Europa avrebbe bisogno di ulteriori provvedimenti. “In Germania, per esempio, pochi hanno riconosciuto la necessità di attuare cambiamenti, a seguito delle riforme del mercato del lavoro intraprese all’inizio del 2000 – dice lo startegist di Schroders – Inoltre, quasi certamente serviranno riforme nel settore bancario“.
 
Sindrome cinese
 
A preoccupare è la Cina, che Schroders paragona al Giappone degli anni ’70: ovvero, al termine della fase di boom degli investimenti, ma ancora lontana da bolle e crisi. “Se la si guarda da un’altra prospettiva, sembra che stia soccombendo al malessere giapponese in termini di rallentamento della crescita e inflazione”, dice Conway. Che aggiunge: “L’eccesso di capacità produttiva, che caratterizza alcuni settori industriali della Cina, sta causando una pressione deflazionistica. Bisogna in qualche modo risolvere questo problema, e probabilmente si renderà necessaria anche una politica monetaria più accomodante, che è difficile da attuare senza causare anche un indebolimento valutario, che risulterebbe politicamente sgradito”. In generale, la conclusione di Schroders è che ci sono sicuramente alcune azioni che possono essere fatte per allentare la pressione deflazionistica, ma molte di esse sarebbero considerate alquanto radicali e richiederebbero importanti decisioni politiche sia in Cina che in Germania.