Dollaro, per ora un 2025 difficile: occhio a dazi ma anche a sostenibilità del debito

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Tutti gli sguardi del mercato sono rivolti agli Stati Uniti e a quello che è stato ribattezzato il “Liberation Day”, con gli imminenti annunci sulle tariffe da parte dell’amministrazione Trump. Tra gli investitori serpeggiano molti interrogativi e alcuni timori, ma la reazione dei mercati dipenderà da una serie di fattori come l’entità delle tariffe, la distribuzione geografica/settoriale e l’apertura alla negoziazione. L’annuncio è previsto per stasera alle 22 ore italiane (alle 16 in Usa).
Anche sul mercato valutario si attendono le novità che arriveranno stasera da Trump. Nell’attesa il Dollar index, che misura la forza del biglietto verde rispetto a un paniere delle principali valute mondiali, si muove in ribasso sotto la soglia di 104. Il 2025 si sta rivelando un anno difficile per il dollaro. Dopo la sua forte ascesa nell’ultimo trimestre del 2024, coincisa con la vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa di novembre, il biglietto verde ha dovuto fare i conti con un altro scenario ed è reduce da un primo trimestre di cali pari a circa il 4% e un mese di marzo sotto pressione (-3,2%).
Una settimana intensa per il biglietto verde che nei giorni scorsi era finito sotto i riflettori per le parole del numero uno di BlackRock, Larry Fink, che ha lanciato un chiaro monito. Lo status del dollaro di valuta di riserva globale “non è garantito per sempre” e “se gli Usa non tengono sotto controllo il loro debito, se i deficit continuano a crescere, l’America rischia di perdere quella posizione a favore di asset digitali come i bitcoin”.
Ma vediamo quali sono le view per il dollaro in vista del giorno dei dazi Usa.
Dollaro: attenzione a dazi, ma anche a sostenibilità del debito
Il clima resta d’attesa, le indiscrezioni che si rincorrono sono numerose e tratteggiano scenari diversi. Secondo quanto riportato dai media Usa, Trump starebbe pianificando un dazio del 20% sulla maggior parte delle importazioni statunitensi, ma potrebbe anche essere presa in considerazione la possibilità di tariffe diverse oppure un approccio personalizzato.
“Un impatto sui tassi di cambio dipenderà dalla distribuzione geografica delle tariffe”, segnala Francesco Pesole di ING, aggiungendo che il tono dell’amministrazione statunitense nelle trattative sarà un fattore chiave per la reazione del mercato. Le aspettative di dazi non eccessivamente punitivi e che sopratutto potranno essere rinegoziati nel breve termine potrebbero impattare sul dollaro. Pesole precisa: “restiamo dell’idea che oggi i rischi al ribasso siano dominanti per tutte le valute rispetto al dollaro. Ma la sovraperformance del dollaro non sarà indicativa di un rafforzamento più sostenibile. Ci vorrà del tempo per valutare per quanto i dazi rimarranno in vigore: insieme alla pubblicazione dei dati statunitensi, ciò determinerà le prospettive per il dollaro Usa”.
“Il tema dei dazi resta centrale. Il big day del 2 aprile non rappresenterà certamente la fine della questione dazi. Anzi, probabilmente avremo un annuncio roboante, cui farà seguito un lungo negoziato fra le parti per trovare accordi”, rimarca anche Carlo Alberto De Casa, analista di Swissquote aggiungendo che per il dollaro “ci sono questioni non da poco legate alla sostenibilità del debito, che andrebbero ad inasprirsi con una gestione relativamente “allegra” delle finanze e molta nuova spesa finanziata a debito (potenzialmente anche a fronte di una crescita minore)”.
Gli appuntamenti della settimana
C’è poi il discorso macro, con i dati sul mercato del lavoro in primo piano. Oggi un primo assaggio con il sondaggio ADP per il mese di marzo, in vista dei dati di venerdì prossimo con le nonfarm payrolls e la disoccupazione in primo piano. Oggi l’attenzione era rivolta sui dati Adp sugli occupati del settore privato, con il dato che ha mostrato una crescita di 155.000 nuove unità rispetto alle 77.000 del mese precedente (dato rivisto da +84mila). Il mercato si attendeva un aumento di 120mila unità.
Sempre venerdì, oltre all’annuncio sul mercato del lavoro Usa, si attende anche il nuovo intervento del presidente della Federal Reserve (Fed), Jerome Powell, che potrebbe fornire spunti sulle mosse future della banca centrale Usa tenendo in considerazione anche gli annunci odierni di Trump.
Perche anche il cambio è diventato arma, la view di Debach
Una guerra commerciale che si combatte non solo sul fronte industriale, ma anche valutario. E’ di la riflessione di Gabriel Debach, market analyst di eToro, che in attesa del grande annuncio trumpiano sui dazi si è soffermato in particolare sull’aspetto valutario.
Il DXY, indice di riferimento del dollaro, ha perso quasi il 4% da inizio anno. Nello stesso periodo, l’EUR/USD è salito di circa il 4,2%. Il biglietto verde si sta indebolendo proprio mentre gli Stati Uniti alzano le tariffe. “Ma è nei dati della Federal Reserve che si leggono i dettagli più significativi: l’indice ponderato reale del dollaro mostra un calo dell’1,85%, ma con un’asimmetria evidente. Il dollaro ha perso il 3,22% nei confronti dei Paesi avanzati e solo l’1,21% verso i mercati emergenti”, segnala Debach, secondo il quale “una svalutazione selettiva, che non colpisce tutti allo stesso modo. Il dollaro scivola proprio dove la concorrenza industriale è più diretta. Non si tratta solo di dinamiche di mercato. Il rafforzamento delle valute avanzate — euro, yen, sterlina, franco svizzero — è tutt’altro che neutrale. Il Giappone ha visto lo yen rafforzarsi di oltre il 5%, l’euro di oltre il 4%, la sterlina del 3,3%”.
“Sono economie – argomenta l’esperto – che si trovano oggi a fare i conti non solo con barriere doganali, ma anche con un cambio sfavorevole. In una fase di rallentamento globale e domanda debole, il rafforzamento del cambio rischia di compromettere la competitività. Al contrario, lo yuan cinese si è apprezzato appena dello 0,6%. L’impatto valutario della strategia americana si sta scaricando più sugli alleati che sui competitor”
Secondo Debach, c’è poi quasi un paradosso: nel tentativo di frammentare, Trump ha finito per ricompattare. “Il cambio è tornato ad essere uno strumento di politica economica. Non dichiarato, ma efficace. Il dollaro si svaluta dove serve. Gli Stati Uniti esportano più facilmente. E i partner tradizionali — Europa in testa — si trovano a pagare il prezzo di una strategia che, a oggi, non è stata né negoziata né bilanciata”.