Dai meme stock, all’avvento dei millennials: come stanno cambiando le regole del gioco sui mercati?
Dopo un 2020 denso di eventi e certo non privo di colpi di scena, anche il 2021 ci sta insegnando veramente tanto sui mercati finanziari. Alla base di tutto sicuramente l’innovazione tecnologica che sta investendo anche il mondo della finanza, permettendo cose che fino a poco tempo fa erano irrealizzabili. Pensiamo ad esempio al caso Game Stop. Mai nella storia della finanza dei gruppi di retailer organizzati erano andati a caccia di investitori istituzionali, sfruttando le potenzialità dei social. Il tutto su un campo di battaglia, quello dei “meme stock”, che ha spesso costretto gli istituzionali a uscire dalle loro posizioni in short selling con perdite anche ingenti. Non solo, le nuove piattaforme sempre più digitali, combinate con mercati particolarmente volatili e la possibilità di operare spesso a zero commissioni ha attirato masse enormi di investitori, tra cui i giovanissimi. Un mondo dunque in fibrillazione quello degli investimenti.
Ma come stanno cambiando i mercati finanziari e le regole che lo dirigono? Ne parliamo con Christophe Grosset, Sales Executive Italia e Francia di Spectrum Markets.
Una finanza che cambia: qual è l’approccio della nuova generazione?
“Un aspetto positivo dell’evoluzione a cui stiamo assistendo è che si sta verificando un cambiamento del profilo degli investitori. I millennial, una generazione che fino ad ora si era dimostrata relativamente refrattaria al mondo degli investimenti, stanno entrando nel mercato. Facciamo riferimento ad una fascia di popolazione con una bassa propensione al rischio e quindi tradizionalmente orientata ad un’allocazione di tipo difensivo. Adesso, tuttavia, sembra sia aumentato l’interesse verso l’azionario.
Questa evoluzione deve essere inquadrata all’interno di uno scenario molto più ampio. I millennial sono una generazione con una già elevata educazione digitale, anche se questo aspetto non è stato discriminante, almeno fino ad ora, nella definizione delle loro preferenze di investimento. Ciò che è cambiato nell’ultimo anno è l’approccio generale alla finanza digitale. È stato operato, infatti, un passo collettivo verso la digitalizzazione, come si può vedere dai dati relativi all’apertura di nuovi conti correnti presso gli intermediari online. Nel 2020 si è avuto un boom di nuovi correntisti; una crescita che non si vedeva dagli inizi degli anni 2000, complice altresì il ritorno della volatilità. E per quanto frutto, probabilmente, di una reazione ad una condizione esogena complessa, è alquanto improbabile che si veda un’involuzione in questo senso”.
Cosa possiamo imparare da questa esperienza?
“Gli Stati Uniti, generalmente, anticipano i tempi. Vediamo l’affermarsi di tendenze che vengono poi progressivamente introdotte anche in altri mercati, compresi quelli europei. Tra queste, la possibilità di investire a zero commissioni. Al di là delle diverse sfaccettature che contraddistinguono i mercati, infatti, ormai il servizio di passaggio di ordini offerto dal broker viene considerato un servizio di base, qualcosa per cui l’investitore non percepisce la necessità di dover pagare un sovraprezzo. Si tratta di un’evoluzione che sta già prendendo piede nel Vecchio Continente. Al di là delle politiche di costo applicate da Spectrum (Markets, ndr), in Germania, così come anche in Francia e Italia sono già attive delle realtà che offrono la possibilità di negoziare a zero costi per l’investitore finale, in particolare per le forme più avanzate di investimenti (ETF e certificates ad esempio).
Ci troviamo comunque di fronte ad un paradosso. Da un lato, lo sviluppo del mercato spinge affinché le strutture di pricing non facciano leva sull’investitore. Dall’altro diventa sempre più complesso da parte dei broker riuscire a dare seguito agli ordini rispettando le pratiche di best execution imposte dalle autorità di vigilanza. Ciò si traduce in una forte pressione verso una maggiore efficienza a costi contenuti, perseguibile unicamente tramite l’implementazione di sistemi sempre più tecnologici che possono essere implementati da attori specializzati nell’esecuzione degli ordini facendo leva sui volumi di transazioni che possono essere in grado di aggregare.
La realtà ci pone di fronte ad un dilemma. Ovvero se sia possibile arrivare ad un livello di efficienza tangibile ricorrendo ai mercati tradizionali. Le nuove generazioni di investitori cercano un tipo di servizio che sia personalizzabile e plasmabile sulle esigenze del singolo. Come sta già avvenendo in ambito bancario, questa transizione sta coinvolgendo anche il mondo delle borse. Non esiste più un modello unico applicabile in maniera universale ed è per questo che si sta assistendo alla nascita di piazze di negoziazione specializzate. Ad esempio, le priorità di un investitore istituzionale non sono le stesse dell’investitore individuale ed è giusto che ciascuna di queste categorie abbia accesso al tipo di servizio che meglio risponde ai propri bisogni. Questo anche in ottica di protezione dell’investitore stesso sopra tutto quando si tratta di un investitore individuale, prerogativa delle autorità di vigilanza”.
Cosa rende l’Europa diversa dagli altri Paesi ?
“Le autorità di vigilanza in Europa hanno come loro missione la protezione dell’investitore ed è a questo che tendono tutte le varie iniziative intraprese dal regolatore. La preoccupazione maggiore, al momento, è che si verifichino situazioni che vadano a discapito dell’investitore individuale. Per questo, l’industria si è adoperata a rinnovare il suo approccio mettendo l’investitore e le sue esigenze al centro della catena del valore. Inoltre, si sta procedendo ad una progressiva specializzazione e segmentazione dei mercati; ad una personalizzazione che comprenda sia il servizio di per sé che il teatro nel quale avviene l’azione. L’affermarsi di mercati pensati in maniera specifica per l’investitore individuale rende possibile il convergere tra innovazione e tutela”.