Notizie Notizie Mondo Curva rendimenti Usa: inversione anche nel tratto 5-30 anni, prima volta in 16 anni. Attenti ora al vero ‘spread da recessione’

Curva rendimenti Usa: inversione anche nel tratto 5-30 anni, prima volta in 16 anni. Attenti ora al vero ‘spread da recessione’

28 Marzo 2022 13:10

Il nuovo ennesimo sell off che ha travolto i Treasuries ha portato la curva dei rendimenti Usa a invertirsi nel tratto tra i cinque e i 30 anni, per la prima volta dall’inizio del 2006.

La scorsa settimana, la curva si era invertita nei tratti tra 5 e 10 anni e 3 e 10 anni, scatenando ulteriormente il timore di una recessione negli Stati Uniti, dovuta all’orientamento della Fed, sempre più falco sui tassi.

L’inversione delle ultime ore è stata innescata da un’ondata di smobilizzi sui titoli di stato Usa soprattutto di breve periodo, che ha fatto volare i rendimenti ai massimi dal 2019.

Per la prima volta dal febbraio del 2006, lo spread tra i rendimenti dei Treasuries a 30 anni e quelli dei Treasuries a 5 anni è sceso di conseguenza al di sotto dello zero, fino a -3,5 punti base.

Il collasso dello spread è stupefacente, se si considera che il differenziale viaggiava a 53,5 punti base all’inizio di marzo.

Allo stesso tempo, nelle ultime ore si è assistito a una ulteriore fiammata dei tassi Usa a due anni, volati fino al 2,41%, al massimo dall’inizio del 2019.

Focus anche sui tassi a 10 anni, che hanno superato la soglia del 2,5%, schizzando al valore più alto dall’aprile del 2019.

Lo spread tra i tassi a 10 e 5 anni è sceso a -13 punti base, confermando l’inversione della curva in questo tratto.

Ma occhio allo spread alert recessione da monitorare

In realtà, lo spread che viene considerato anticipatore dell’avvento di una recessione è quello della parte compresa tra 2 e 10 anni, che non si è ancora invertita.

Tuttavia il differenziale è sceso in modo significativo, provocando quel fenomeno noto come appiattimento della curva dei rendimenti: questo spread si aggira attorno a 20,10 punti, dopo essere capitolato però nelle ultime sedute fino a 11,4 punti base, al minimo dal 9 marzo del 2020, quando in tutto il mondo suonò l’allarme della pandemia Covid-19.

Vincent Chaigneau, Head of Research di Generali Investments, commenta l’impennata dei tassi corti Usa:

“Quest’anno le banche centrali dei paesi sviluppati si trovano di fronte ad un incerto trade-off tra crescita ed inflazione. E’ la prima volta dagli anni ’70 che devono attuare una politica monetaria restrittiva per spingere l’inflazione fermamente verso il basso, piuttosto che semplicemente tenerla sotto controllo. Il mercato sta ora prezzando quasi 10 rialzi da parte della Fed quest’anno, rispetto a meno di 3 rialzi attesi all’inizio dell’anno. Questo massiccio riprezzamento ha causato una riduzione di oltre il 10% nell’indice dei titoli del Tesoro USA. Tale inesorabile performance obbligazionaria può spiegare il fatto che i fondi azionari globali abbiano registrato afflussi quest’anno, nonostante il deterioramento delle prospettive economiche (aumento dei prezzi delle materie prime, tassi più alti, fiducia più debole.) Il mercato sta ora prezzando il picco dei Fed funds sopra il 3,25% per l’estate del 2023″.

“Ci domandiamo – ha continuato Chaigneau – se la Fed possa fare tutto ciò senza causare instabilità finanziaria e una recessione, invece di un atterraggio morbido. Ci aspettiamo un deterioramento del quadro economico, in particolare in Europa, ma non solo. Per questo motivo sospettiamo che l’aumento dei rendimenti lunghi si modererà a partire da ora, per cui ritorniamo prudenti sugli asset di rischio (con un modesto Underweight sulle azioni ed Overweight sul credito, ma privilegiando le strategie difensive)”.

Nel frattempo, non sono di certo rassicuranti le previsioni dei nomi più importanti di Wall Street su ciò che farà la Fed di Jerome Powell, per contrastare la crescita dell’inflazione negli Stati Uniti. Outlook più hawkish sono stati diramati venerdì scorso dagli analisti di Bank of America e Citi.

La divisione di ricerca di Bank of America ha reso noto di prevedere una stretta monetaria di 50 punti base a giugno e a luglio, e rialzi dei tassi di 25 punti base nelle altre riunioni del Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed.

“La Fed ha accettato di essere rimasta indietro (rispetto alla crescita dell’inflazione” e sarà di conseguenza “incoraggiata dalla resilienza dell’economia e dei mercati finanziari. L’interrogativo che rimane è se sarà disposta a imporre una grave sofferenza all’economia, al fine di frenare l’inflazione”, ha commentato Ethan Harris, economista di Bank of America.

Da super falco la view degli analisti di Citi, che prevedono ora una carrellata di strette monetarie, ciascuna di 50 punti base, nei mesi di maggio, giugno, luglio e settembre. “Prevediamo ora che la Fed aumenterà i tassi di 275 punti base nel 2022 (rispetto a+ 200 pb precedentemente attesi), con aumenti di 50 punti base a maggio, giugno, luglio e settembre e strette di 25 punti base a ottobre e dicembre, fino ad arrivare a una forchetta compresa tra il 2,75% e il 3% alla fine del 2022”, si legge nella nota del colosso bancario di Wall Street.

Prashant Newnaha, strategist dei tassi della divisione di Asia-Pacifico di TD Securities a Singapore, ha commentato a Bloomberg l’inversione del tratto 5-30 anni della curva dei rendimenti Usa facendo notare che “i funzionari della Fed non hanno ancora respinto le aspettative aggressive del mercato, provocando così una ulteriore impennata dei tassi e curve più piatte”.

In una nota recente gli esperti di Bank of America hanno ricordato che le inversioni nel tratto 2-10 anni hanno preceduto le ultime otto recessioni, e dieci delle ultime 13. L’ultima volta che la curva si invertì in questo tratto fu nel 2019: l’anno dopo, gli Stati Uniti entrarono in recessione, sebbene un tipo di recessione provocato dallo shock della pandemia.

Lo scorso 16 aprile, la Fed di Jerome Powell ha alzato i tassi sui fed funds per la prima volta dal 2018, diffondendo contestualmente un dot plot più aggressivo, che tuttavia non ha convinto diversi economisti, in quanto considerato ancora troppo dovish.

E’ stato poi lo stesso Powell a parlare di inflazione troppo alta, mostrando tutta l’intenzione di porre un freno alla corsa dei prezzi e infiammando così ulteriormente le aspettative dei mercati su imminenti strette monetarie più significative. Tanto che venerdì scorso i futures sui fed funds sono arrivati a prezzare un rialzo dei tassi di 50 punti base nel prossimo meeting del Fomc – il braccio di politica monetaria della Fed – di maggio, con una probabilità del 75% circa. Per il 2022, il mercato scommette in totale su rialzi dei tassi di 200 punti base.