Crisi Turchia, lira precipita oltre soglia pericolo Goldman Sachs. Nuova scossa su banche e mercati
Crisi Turchia conclamata: la lira turca snobba le rassicurazioni e gli appelli vari che hanno come mittente Erdogan e la sua squadra e prosegue il suo tonfo, aggiornando il libro della sua storia con nuovi minimi record. E, quanto è peggio per le banche, scivolando anche sotto la soglia pericolo individuata dagli analisti di Goldman Sachs. In avvio di seduta, la lira capitola fino a -11% nei confronti del dollaro, con il presidente Erdogan che parla di un paese in guerra economica, testando il minimo assoluto a 7,24 (per dollaro), prima di ridurre le perdite.
Il tonfo che va ad aggiungersi a quello dello scorso venerdì, quando la moneta è capitolata fino a -20%, per poi concludere le contrattazioni dei mercati Usa con un ribasso del 16%.
La capitolazione della lira aveva già venerdì scorso fatto tremare i mercati mondiali: diverse banche europee erano state messe ko, scontando la loro esposizione verso la Turchia, messa in evidenza anche da un articolo dell’FT, che aveva rivelato rumor su come la Bce stesse monitorando la crisi in atto. L’FT aveva fatto i nomi di UniCredit, BBVA e BNP Paribas come banche particolarmente esposte.
La notizia del superamento della soglia pericolo di Goldman Sachs mette ancora più sull’attenti il settore finanziario globale: la soglia è pari a 7,1 per il rapporto dollaro/lira turca.
L’effetto domino è già in corso, non solo sui mercati emergenti ma anche sui mercati dei paesi avanzati, che scontano la loro esposizione verso Ankara.
Inutili sono le parole del presidente Erdogan, che ha lanciato un appello ai cittadini turchi affinché non “ritirino le loro lire turche dalle banche”. Appello simile a quello lanciato lo scorso venerdì, quando aveva invitato il popolo a mettere in atto uno sforzo nazionale e convertire tutte le loro valute straniere (non solo dollari, ma anche euro), e anche l’0ro, in lire turche.
Già in quell’occasione i suoi appelli non avevano sortito alcun effetto, visto che erano stati più che compensati dal tweet bellicoso di Donald Trump, che aveva annunciato di aver dato istruzioni affinché i dazi doganali imposti sull’acciaio e sull’alluminio importati dalla Turchia venissero raddoppiati.
La paura più grande per i mercati è che la crisi valutaria turca possa sfociare in una grave crisi bancaria, innescata magari da una possibile corsa agli sportelli da parte dei clienti per ritirare una moneta che ha perso il 40% del suo valore dall’inizio dell’anno, confermandosi la peggiore tra quelle dei mercati emergenti.
C’è poi il rischio default, ovvero che diversi debitori che hanno contratto prestiti in dollari non si siano protetti dal rischio del continuo crollo della lira e, dunque, che inizino a non riuscire più a onorare i loro obblighi, a discapito dei loro creditori. Tra l’altro, proprio i prestiti erogati in valuta estera incidono sugli asset del settore bancario turco per il 40% circa.
Oggi il governo ha annunciato un piano per frenare la fuga dagli asset turchi. E’ intervenuta anche la banca centrale del paese, tagliando le riserve obbligatorie che le banche devono detenere presso di essa, e liberando dunque liquidità nel sistema finanziario.
Rassicurazioni anche dal ministro delle finanze turco, che ha anticipato un piano di misure economiche che le istituzioni prenderanno in giornata per ripristinare la fiducia degli investitori. Ma certo il fatto che il ministro delle finanze turco sia il genero di Erdogan, di per sé, non è esattamente un attestato di fiducia.