Commodity, L’Opec rischia l’autogol. Possibile sell-off per gas e petrolio

Dopo aver continuato nel corso dell’anno a sostenere il mercato, ma solo a parole, l’Opec ha finalmente promesso di intervenire sulla produzione di petrolio lo scorso 28 settembre durante la riunione di Algeri. I dettagli di un accordo per tagliare la produzione avrebbero dovuto essere annunciati al meeting di Vienna del 30 novembre, una data che avrebbe dovuto lasciare al cartello tutto il tempo per definire quali produttori devono tagliare, e in quale misura. Al Congresso Mondiale sull’Energia di Istanbul, lo scorso 10 ottobre, Vladimir Putin ha dato indicazione che la Russia era pronta insieme all’Opec a limitare la produzione di petrolio, sia attraverso un congelamento della produzione sia con tagli. In seguito il petrolio è rimbalzato sopra 50 dollari con ripetute puntate verso i 60 dollari, mentre gli hedge funds su questa prospettiva hanno dato seguito a copiosi acquisti, tanto che all’11 ottobre detenevano una posizione lorda di lungo nel greggio WTI e Brent di 840 milioni di barili.
Produzione record
Peccato che un sell-off partito dal 10 ottobre abbia spazzato via tutti i guadagni realizzati dal meeting di Algeri, con il petrolio che ha toccato i 40 anziché i 60 dollari al barile. Che cosa è cambiato? Svariati membri dell’Opec, tra cui Iran, Nigeria, Libia, e più di recente anche l’Iraq, hanno chiesto di essere esentati dai tagli, mentre la Russia è tornata sui suoi passi dichiarando di voler al massimo congelare la propria produzione. “Le survey sulla produzione di ottobre – spiega Ole Hansen, Head of Commodity Strategy di Saxo Bank – indicano il cammino verso una produzione record dell’Opec, con incrementi dell’offerta da parte di Nigeria, Libia e Iran, mentre anche la Russia ha raggiunto un livello record post era sovietica”. “Questi sviluppi sono stati accompagnati dal più forte incremento settimanale dello stoccaggio di cui si abbia traccia – prosegue Hansen – e di conseguenza gli hedge funds hanno dovuto correre ai ripari per uscire dalle scommesse fallite, e ora in perdita, su prezzi crescenti”.
Ancora rischio sell-off
Negli ultimi anni, le posizioni speculative sono state uno dei principali driver del petrolio. “Interventi verbali non seguiti da fatti hanno lasciato gli attori di mercato nella posizione di inseguire il mercato, con risultati spesso in perdita”, dice Hansen. Che aggiunge: “Una fase di rapida liquidazione di posizioni troppo estese, sia nel lungo che nel breve, è stata il key driver dietro svariati movimenti in su e in giù che si sono verificati negli ultimi due anni”. Così, mentre i primi segnali di supporto del mercato da parte dell’Arabia Saudita lo scorso agosto hanno aiutato al recupero delle quotazioni con un rally del mercato del 22%, assistiamo oggi al contrario. “E senza un rinnovato focus sul taglio alla produzione, l’attuale sel-off potrebbe non interrompersi prima che vengano ridotte le posizioni di lungo, e questo potrebbe comportare un ritorno a 40 dollari al barile”, aggiunge lo strategist.
Rischio autogol
L’ultimo sell-off del petrolio è arrivato proprio in seguito della riunione tecnica tenutasi a Vienna la scorsa settimana, nella quale produttori Opec e non-Opec non sono riusciti a raggiungere un accordo. L’atmosfera ha ricordato quella di aprile, quando i dissidi tra Arabia Saudita e Iran fecero naufragare l’accordo di Doha per congelare la produzione, con Riad che minacciava di aumentare sensibilmente la produzione per abbassare i prezzi se Teheran avesse rifiutato di limitare la propria fornitura. “In prospettiva sono convinto che l’Opec raggiungerà un accordo (di qualsiasi genere) visto che la maggior parte dei membri non può permettersi ulteriori ritardi nel raggiungimento dell’equilibrio di mercato”, spiega Hansen. Che conclude: “Se questo accordo produrrà effetti che vanno oltre la stabilizzazione dei prezzi, rimane da vedere. In ogni caso il cammino verso il recupero e il riequilibrio proseguiranno nonostante l’Opec, la cui mancanza di cooperazione rappresenta sempre più la causa principale degli squilibri”. Secondo lo strategist, una rottura del Brent sotto i 45 dollari al barile aumenterebbe il rischio di una persistente debolezza verso il minimo di agosto a quota 41,5 dollari.