Notizie Notizie Mondo Cina: economia solida ma prevista frenata Pil. Guerra commerciale Usa, esplode caso ZTE

Cina: economia solida ma prevista frenata Pil. Guerra commerciale Usa, esplode caso ZTE

17 Aprile 2018 08:45

La crescita del Pil cinese si conferma solida, anche se con qualche crepa mentre, a conferma dell’alta tensione con gli Usa di Trump, esplode il caso ZTE. Una carrellata di dati è arrivata oggi dal fronte economico della Cina. A essere diffuso il Pil del primo trimestre, che è cresciuto del 6,8% su base annua, meglio del +6,7% atteso dal consensus.

Si è trattato del terzo trimestre consecutivo in cui la seconda economia al mondo è avanzata al tasso del 6,8%. Detto questo, gli analisti rimangono cauti e stimano un indebolimento della crescita nel 2018 e nel 2019, rispetto al +6,9% del 2017.

Da un sondaggio di Reuters, emerge infatti che la maggior parte dei 72 analisti intervistati prevede una frenata del Pil al 6,5% nell’anno in corso e al 6,3% nel 2019.

Secondo il consensus la People’s Bank of China, banca centrale della Cina, terrà inoltre fermo il tasso benchmark sui prestiti al 4,35% fino alla fine del 2019.

Motivi del rallentamento?

Sicuramente, a rendere cauti gli economisti, sono i timori di una guerra commerciale contro gli Usa di Trump, che si sono tutti fuorché smorzati. Semmai, le preoccupazioni sono rimbalzate in misura minore sui media, scavalcate dalla notizia dei bombardamenti in Siria lanciati da Usa, Francia e UK. Ma la situazione è in continuo divenire, e nelle ultime ore è esploso per l’appunto il caso ZTE.

ZTE è una società cinese produttrice di componenti per il settore delle tlc: l’acronimo sta per Zhongxing Telecommunications Equipment.

Il gruppo è stato ora accusato dal dipartimento del Commercio Usa di aver rilasciato false dichiarazioni al Bureau dell’Industria e della Sicurezza, nelle trattative del 2016, avviate per risolvere una causa con cui era stata accusata di aver violato le sanzioni Usa contro l’Iran.

Di fatto, l’anno scorso ZTE si era dichiarata colpevole di aver cospirato per la violazione delle sanzioni che gli Stati Uniti avevano imposto a Teheran, inviando beni e tecnologia Usa all’Iran.

Per risolvere la causa, la società cinese aveva pagato quasi $900 milioni in multe e sanzioni, promettendo di licenziare quattro suoi dipendenti senior e di punirne altri 35, o attraverso la riduzione dei  bonus o con altre misure.

Ora si apprende, stando a quanto riferito a Reuters dai funzionari del dipartimento del Commercio, che la società ha sì licenziato i suoi quattro dipendenti senior, ma non ha avviato alcuna misura disciplinare contro i 35 dipendenti più junior.

Di conseguenza, l’amministrazione Trump ha deciso di vietare alle aziende americane di fare affari con ZTE, con il titolo scambiato alla borsa di Hong Kong che è stato sospeso nelle contrattazioni di ieri. ZTE ha poi risposto, affermando di aver cooperato con centinaia di aziende Usa, contribuendo alla creazione di decine di migliaia di posti di lavoro negli Usa.

Dal canto suo, il ministero del Commercio cinese ha risposto che la Cina farà di tutto per proteggere gli interessi delle società cinesi, confermando come il paese non rimarrà sicuramente a guardare senza reagire alle decisioni di Trump & Co.

Oltre al Pil, oggi sono stati diffusi altri dati:

  • Gli investimenti in asset fissi sono rallentati nel primo trimestre dell’anno: la crescita è stata del 7,5% su base annua, rispetto al +7,7% stimato dal consensus e contro il +7,9% precedente, anche se si mette in evidenza il forte balzo degli investimenti nel mercato immobiliare, pari al 10,4%, al record in tre anni.
  • Molto bene le vendite al dettaglio, che nel mese di marzo sono salite del 10,1% su base annua, rispetto al +9,9% atteso dal consensus, in rafforzamento rispetto al +9,4% precedente.
  • La produzione industriale ha invece rallentato il passo, con una crescita a marzo del 6% su base annua, rispetto al 7,2% del periodo compreso tra gennaio e febbraio.

Un altro fattore che potrebbe contribuire a frenare la crescita del Pil cinese è, per gli economisti, l’insieme delle misure che Pechino stessa ha avviato per evitare il surriscaldamento della propria economia: una fase di deleveraging, insomma, che si è già tradotta in un freno alla crescita del credito.