La Cina cambia pelle, ma continuerà a crescere. Yaun stabile, ma sempre più flessibil
Tempesta estiva sui mercati con i principali indici emerging in calo dell’8% in sette giorni, e l’occidente (Europa e Stati Uniti) che arretra del 6%, mentre le commodity – già in affanno – lasciano sul terreno il 3%. Anche se le vendite, secondo gli operatori, sono state causate da diversi fattori, quali le valutazioni elevate delle azioni, il basso valore del greggio e la presenza di pochi operatori sui mercati, la Cina (e soprattutto il suo quadro macro-economico) sembra essere il vero problema.
Meno dirigismo, più consumi
Ma qual è l’outlook sull’economia cinese? Sebbene il rallentamento sia innegabile (l’incremento del Pil cinese si attesta oggi al 7% contro una media del 10% negli ultimi 30 anni), la maggior parte degli analisti ritiene che la crescita del Dragone dovrebbe stabilizzarsi nei prossimi mesi, e togliere pressione ai mercati azionari. Una ricerca elaborata da Bei Xu, global strategist di Exane Derivatives, dal significativo titolo “Lo yuan e l’economia cinese non affonderanno”, evidenzia infatti che i consumi, ormai principale driver della domanda domestica, si sono mostrati resistenti in questa fase con le vendite al dettaglio che hanno mantenuto una crescita annua del 9% in volume, mentre è l’andamento degli investimenti la prima causa della pressione ribassista sulla crescita del Celeste Impero. “Una dicotomia tra i consumi e gli investimenti che riflette la transizione strutturale del modello di crescita cinese auspicato dalle autorità del Paese”, commenta Xu.
Stop agli investimenti…
Gli analisti di Exane sono inoltre convinti che, anche qualora la crescita dovesse registrare un’ulteriore decelerazione, non dovrebbero essere promosse ulteriori misure di rilancio dell’economia attraverso progetti di investimento di ampia portata come avvenuto nel biennio 2008-2009 per non compromettere le riforme già avviate e aumentare i disequilibri esistenti sul fronte degli investimenti. Al riguardo va infatti ricordato che il peso dell’edilizia (residenziale e non) sul totale degli investimenti si attesta già al 70%, pari cioè al 35% del Pil. “Nonostante la nota preferenza per le riforme strutturali, i dirigenti cinesi hanno predisposto riforme per migliorare le condizioni di finanziamento dell’economia piuttosto che continuare a distribuire crediti poco costosi al settore pubblico“, spiega Xu. Che aggiunge: “Un maggior intervento delle autorità pubbliche potrebbe tuttavia aver luogo qualora si verifichi un peggioramento del mercato del lavoro, che resta comunque ancora ben orientato”.
… e alle manovre sullo yuan
La decisione dell’11 agosto di modificare il meccanismo di fixing del tasso di cambio dell’RMB sul dollaro ha causato un deprezzamento della parità USD/CNY del 3% portando numerosi economisti a interrogarsi sui motivi di tale scelta. Dato che la decisione della PBoC è stata presa dopo la pubblicazione dei dati sull’export cinese relativi al mese di luglio, in flessione dell’8,3%, molti hanno interpretato il gesto come una misura di svalutazione competitiva, volta a supportare l’economia cinese. Tale ipotesi non è condivisa da Exane dato che da venti mesi le importazioni negli Stati Uniti e in Europa provenienti dalla Cina registrano un aumento rispetto a quelle provenienti dal resto del mondo. La Ricerca di Exane Derivatives ritiene, dunque, che la Cina abbia voluto rendere più flessibile il tasso di cambio della propria valuta per rendere più efficiente la sua politica monetaria. “Non dovremmo assistere a un’ulteriore flessione del sistema di cambio nel breve periodo – conclude Xu – Ulteriori margini di manovra potrebbero crearsi quando gli investitori saranno rassicurati sulle prospettive di crescita del Celeste Impero: solo allora si cercherà di rendere il sistema di cambio ancora più flessibile: una trasformazione che appare inevitabile”.