Cina apre mercato auto al mondo, basta limite quota joint venture. Bene per Tesla, male per Buffett
La decisione della Cina di aprire ulteriormente il proprio mercato dell’auto, delle navi e degli aerei agli investitori stranieri, eliminando gradualmente il diktat finora imposto delle joint venture – ovvero il limite massimo del 50% della quota da detenere in una joint venture con una azienda locale – potrebbe avvantaggiare Elon Musk, ma andare a detrimento di Warren Buffett.
La notizia è sicuramente positiva invece per tutti i produttori di auto stranieri: basta guardare alla reazione dei titoli scambiati a Wall Street, in particolare alle quotazioni di FCA, che sono balzate fino a +3,5% durante la sessione, subito dopo l’annuncio di Pechino.
Opposta la reazione dei titoli delle aziende cinesi, che non hanno affatto gradito la notizia, come riporta un articolo di Cnbc: BAIC Motor, che ha siglato accordi di joint venture sia con Daimler che con Huyndai, è affondata a Hong Kong di oltre -15%; Guangzhou Automobile Group, che lavora con Toyota, Honda e Mitsubishi, ha perso rispettivamente l’8,17% a Hong Kong e il 4,65% a Shanghai. In ribasso anche i seguenti titoli: Dongfeng Auto, socia con Kia e Honda, ha perso il 6,27% a Hong Kong e lo 0,87% a Shanghai; Brilliance Auto, in joint venture con BMW, ha ceduto l’8,71% a Hong Kong; SAIC Group, che produce veicoli Volkswagen e Skoda, ha perso l’1,94% a Shanghai.
Ma in che modo la Cina aprirà il mercato dell’auto agli investitori stranieri?
Al momento, e dal 1994, ai produttori stranieri di auto è consentito di entrare nel mercato cinese ed evitare dazi doganali del 25% detenendo una partecipazione massima del 50% in una joint venture con una società locale.
Se il limite sarà rimosso, e così avrebbe deciso di fare Pechino, i produttori stranieri potranno decidere di aumentare la presa sul comparto in Cina danneggiando così, stando a quanto hanno scritto in una nota gli analisti di Daiwa Capital Markets, le aziende locali.
“Prevediamo nel breve termine una pressione su Brilliance, BAIC, Dongfeng e Guangzhou Automobile, e consigliamo di rimanere investiti in brand locali come Geely”.
Tra le società straniere che sicuramente beneficerebbero della mossa, ci sarebbe soprattutto Tesla di Elon Musk: Pechino ha reso noto d’altronde che i limiti alle partecipazioni che gli stranieri possono detenere nelle joint venture saranno eliminati a partire da quest’anno per i gruppi che producono auto elettriche e ibride, e per tutti i veicoli entro il 2022 (in particolare entro il 2020 per i veicoli commerciali e entro il 2022 per tutte le aziende straniere, che saranno liberate dal giogo dell’attuale normativa che si applica ai veicoli commerciali).
Tesla potrebbe essere tra i primi gruppi stranieri a trarre vantaggio dalla svolta cinese. Tra l’altro, la società ha intenzione di costruire un impianto a Shanghai, e finora il piano è stato minacciato, in quanto Tesla non voleva entrare in un accordo di partnership con una azienda locale cinese.
Warren Buffett potrebbe invece risentire del cambiamento in modo negativo, a causa della partecipazione del 10% che MidAmerican Energy Holdings, divisione di Berkshire Hathaway, ha acquisito nel 2008 per un valore di $230 milioni circa in BYD. Non per niente, il titolo BYD ha scontato la notizia cedendo più del 2,4%, subito dopo l’annuncio.
Bloomberg ha intanto commentato la notizia sottolineando che l’annuncio dell’apertura del mercato dell’auto potrebbe smorzare le tensioni tra la Cina e gli Stati Uniti, e dunque le preoccupazioni di una imminente guerra commerciale tra le due potenze.
“Società come Daimler, Volkswagen, Ford Motor e Toyota potrebbero essere facilitate nel fare affari in Cina, mentre i produttori locali di auto saranno messi sotto pressione per velocizzare la crescita dei loro propri brand”.
Così commenta la metamorfosi prevista per il settore Yale Zhang, analista di Automotive Foresight a Shanghai, intervistato da Bloomberg:
“In un decennio, e in modo graduale, i produttori stranieri di auto diventeranno tutti gradualmente indipendenti e le aziende cinesi perderanno i flussi di cassa derivanti dalle joint venture. I produttori stranieri saranno ben contenti di non dover condividere il 50% dei profitti con i loro soci cinesi”.