Caso “cashes”, hedge fund Caius Capital attacca UniCredit su solidità capitale
Caius Capital contro UniCredit. Pomo della discordia, i cashes, ovvero gli strumenti finanziari che la banca italiana ha emesso nel 2008 per un valore di 2,98 miliardi di euro. Cashes sta per ‘convertible and subordinated hybrid equity-linked securities”, ovvero strumenti complessi convertibili in azioni ordinarie, in questo caso, di UniCredit.
L’accusa è pesante: l’hedge fund, che ha chiesto all’Eba di aprire un’indagine, ritiene che, a meno che UniCredit non procederà alla conversione in azioni ordinarie di questi cashes, due terzi del suo capitale dovranno essere considerati invalidi in base alla normativa dell’Unione europea.
Stando al Financial Times, che ha riportato la notizia, una tale conversione, se imposta, potrebbe tradursi in perdite ingenti per alcuni investitori che hanno puntato su tali strumenti: perdite che potrebbero ammontare a un valore superiore a 2 miliardi di euro.
I cashes emessi dall’istituto vengono al momento scambiati a circa il 75% del loro valore nominale, ma probabilmente una conversione lascerebbe agli investitori titoli ordinari di un valore pari ad appena il 6% del face value.
Non solo: secondo Caius, la conversione ridurrebbe il CET1 ratio di UniCredit a una percentuale inferiore al 5%, ben al di sotto dell’8,78% minimo richiesto dalle autorità europee.
Attivo nel mercato dei crediti in sofferenza, nato due anni fa e con sede a Londra, Caius ha scritto in una lettera all’Eba che UniCredit avrebbe classificato in modo errato una parte del suo CET1 nel corso dell’ultimo decennio.
Il Financial Times fa notare come il fondo guadagnerebbe con la conversione, in quanto sta scommettendo contro i cashes.
Detto questo Toby Dodson, socio dell’hedge fund, ha precisato che, “sebbene non neghiamo di essere una società di investimenti motivata da un punto di vista commerciale, nell’evidenziare questi problemi in via preventiva ci assicuriamo che gli investitori possano avere fiducia nel capitale delle banche“.
E ancora:
“Il capitale CET1 è sacrosanto e non dovrebbe rappresentare un ostacolo alla raccolta di nuovo capitale. Tuttavia, a causa dei cashes, se dovessi investire di più in UniCredit, parte di quei soldi verrebbe usata per effettuare pagamenti a investitori che hanno puntato i loro soldi in precedenza”.
Immediata la reazione dell’istituto guidato da Jean-Pierre Mustier, che ha risposto così all’articolo:
“Il trattamento regolatorio dei titoli cashes è stato pienamente illustrato al mercato e confermato e rivisto dalle autorità regolatorie competenti“.
UniCredit ha sottolineato anche che “l’attuale contributo dei cashes sulla posizione patrimoniale complessiva della banca non ha impatti significativi sui ratio regolatori del gruppo”.
Complessivamente,”come annunciato a fine 2017, Unicredit ha una solida posizione di capitale con un CET1 ratio al 13,6%”.
La banca ha precisato inoltre che “sono presenti clausole contrattuali che, in caso di sviluppi regolamentari, consentono di preservare la posizione di capitale di Unicredit anche tramite la conversione automatica degli strumenti sottostanti i cashes in azioni ordinarie”.
Nella lettera all’Eba, a cui il Financial Times ha avuto accesso, Caius ha lanciato accuse pesanti anche a Bankitalia e alla Bce:
“Bankitalia non è riuscita ad applicare in modo corretto la legge dell’Unione, e questo fallimento è stato perpetuato dalla Bce e dal meccanismo di vigilanza SSM”.
Non solo. L’esistenza dei cashes “rende anche le azioni ordinarie di UniCredit non idonee a essere considerate strumenti del CET1”.
Praticamente, il fondo arriva a mettere in dubbio la solidità dei due terzi del capitale CET1 di UniCredit, pari a 48,9 miliardi di euro.
Nessun commento dalla Bce, messa in copia nella lettera inviata all’Eba.
L’autorità bancaria europea ha dal canto suo confermato di “aver ricevuto una lettera ufficiale e di dover dare a questo punto una risposta ufficiale”. “Ci vorrà un po’ di tempo prima che possa essere ratificata e approvata ai livelli più alti”, ha aggiunto.