Notizie Notizie Italia Malacalza contro tutti, Carige pronta al peggio: c’è il piano B con Unicredit pronta

Malacalza contro tutti, Carige pronta al peggio: c’è il piano B con Unicredit pronta

20 Settembre 2019 10:13

I soci di Banca Carige non si tirano indietro e l’assemblea odierna promette un record di adesioni. Potrebbero essere oltre 3mila i soci  presenti al Tower Hotel Airport di Genova, rischiando di andare oltre la capienza della struttura scelta per il giorno più importante nella storia dell,a banca. Il rischio liquidazione coatta spaventa soci e dipendenti della banca e anche questa volta – così come nell’assemblea dello scorso dicembre – la famiglia Malacalza potrebbe far saltare l’operazione di ricapitalizzazione.

Futuro della banca nelle mani di Malacalza

Il piano di rafforzamento patrimoniale da complessivi 900 milioni di euro prevede una nuova maxi-ricapitalizzazione da 700 milioni di euro. L’operazione architettata da Fondo interbancario (Fitd), Schema volontario di intervento e Cassa centrale banca (Ccb) troverà molto probabilmente il niet della famiglia Malacalza, azionista principe con il 27,55%. Nonostante l’affluenza record in proprio o per delega sia altissima, se Malacalza voterà no o si asterrà, quasi certamente l’operazione non passerà con la conseguenza che il delicato dossier tornerà nelle mani delle autorità di vigilanza europee ed italiane, con sullo sfondo il possibile coinvolgimento dello Stato.

Per la validità dell’assemblea serve la presenza del 20% del capitale. Per approvare la proposta, invece, è necessario il voto favorevole dei due terzi. Per controbilanciare il no (o astensione) di Malacalza servirebbe la presenza complessiva dell’85-90% del capitale e un voto positivo praticamente di tutti ad esclusione di Malacalza. Numeri quasi impossibili da realizzare.

Vittorio Malacalza, presente all’assemblea straordinaria della banca, ha detto al suo arrivo: “Sono qui come piccolo azionista”. Un chiaro riferimento al fatto che agli attuali azionisti l’operazione di ricapitalizzazione riserva una piccola fetta pari a 85 milioni, senza diritto di opzione. Questo comporta una forte diluizione degli attuali soci e Malacalza – che nella banca ha investito 423 milioni – rischia di ritrovarsi con una quota drasticamente diluita.

Ipotesi nuova assemblea non trova sponda Bce

Il fallimento dell’assemblea porterebbe quasi certamente a uno scenario di liquidazione. “In caso di mancata approvazione dell’Aumento di Capitale da parte dell’Assemblea, e, quindi, in assenza del Rafforzamento Patrimoniale, la Banca si troverà in una situazione di crisi, con conseguente sottoposizione della stessa e del gruppo ad essa facente capo ad azioni straordinarie e/o a misure da parte delle Autorità competenti, che potrebbero determinare la liquidazione coatta amministrativa della Banca, ovvero in alternativa l’applicazione, tra gli altri, degli strumenti di risoluzione delle crisi bancarie di cui al Decreto Legislativo 16 novembre 2015”, rimarca una relazione dei commissari di Banca Carige.

Tra le opzioni circolate negli ultimi giorni c’è stata anche quella di convocare una nuova assemblea in caso di bocciatura dell’aumento e nella nuova adunata con sterilizzazione della quota di Malacalza. Ma come sottolineato da vari organi di stampa, la Bce avrebbe fatto capire che non vuole intervenire con una mossa del genere (la sterilizzazione della quota), che non ha precedenti.

I precedenti delle banche venete e di Mps

La liquidazione coatta è stato lo scenario che si è materializzato per le banche ex popolari venete (Veneto Banca e Popolare Vicenza) poi finite sotto Intesa Sanpaolo, invece per MPS si arrivò alla ricapitalizzazione precauzionale.

Per Carige sembra decisamente più probabile che si vada verso una liquidazione seguendo poi modalità simili a quelle usate con le banche venete, quando le perdite sono state coperte dallo Stato (costo di circa 5 miliardi) e le due banche passate sotto Intesa Sanpaolo. In questo caso la banca indiziata per prendersi Carige post-liquidazione è Unicredit, come scrive oggi La Stampa. Il nome dell’istituto di piazza Gae Aulenti era già circolato in passato, soprattutto a inizio anno dopo il commissariamento Bce della banca ligure. Il quotidiano torinese rimarca come il governo ha già scartato l’ipotesi della nazionalizzazione in quanto sarebbe troppo costosa e contraria alle regole europee. In tale scenario il salvataggio e liquidazione saranno gestiti direttamente da Bankitalia.

La soluzione Unicredit, ecco i possibili costi per lo Stato

Il decreto Carige varato d’urgenza il 7 gennaio dal governo Conte prevede una garanzia pubblica da un miliardo di euro sulle emissioni delle obbligazioni Carige. Risorse che potrebbero essere messo a disposizione per permettere ad un’altra banca di salvare il concorrente fallito. Secondo fonti di governo riportate sempre da La Stampa, questa è la modalità ipotizzata dal numero uno di Unicredit, Jean Pierre Mustier, senza tuttavia aver preso impegni definitivi.

In tal modo si andrebbe a evitare l’applicazione del bail-in , che comporterebbe perdite ad obbligazionisti e correntisti con depositi superiori ai centomila euro. Mentre non è possibile evitare il cosiddetto burden sharing, la regola che impone di azzerare le obbligazioni più rischiose, le subordinate. La Stampa aggiunge: “Conte avrebbe pronta una soluzione per aggirare la regole ed evitare l’azzeramento anche di quelle obbligazioni. I soldi li metterebbero in tre: il fondo interbancario (ovvero le altre banche), il Credito sportivo e il Mediocredito centrale (entrambi pubblici). La soluzione già a gennaio ebbe il via libera della Lega ma è anch’essa una violazione delle regole europee sugli aiuti di Stato”.

Per Carige il costo per lo Stato sarebbe pari a circa la metà delle due ex popolari messe insieme.

(notizia aggiornata alle 10:33)