Bernanke delude i mercati, per ora niente tagli ai tassi Fed
Stavolta non è stato l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, a influire negativamente sull’andamento dei mercati azionari, ma l’attuale guida della banca centrale americana Ben Bernanke. Che non ha però, a differenza del suo predecessore, parlato di recessione ma confermato per l’ennesima volta la piena validità dello scenario centrale della Fed. Ancora crescita, dunque, sebbene moderata e con qualche rischio verso il basso. Bernanke ha poi negato l’esistenza di segnali recessivi e smorzato le preoccupazioni su una possibile tramissione a catena in altri comparti del credito delle difficoltà dei settori dei mutui subprime, rivolti alle famiglie con maggiore rischio di insolvenza.
Eppure il mercato ha dimostrato di non gradire le pillole di calmante preparate dal presidente e, seppure non con la forza che aveva caratterizzato le discese di fine febbraio e metà marzo, ha ingranato con decisione la retromarcia. A Wall Street la seduta è terminata con tutti gli indici in rosso, ben oltre il mezzo punto percentuale per la “old economy” e intorno all’1% per i listini tecnologici.
Certo non era la giornata più adatta quella di ieri per attendersi interpretazioni positive da parte del mercato delle parole pronunciate da Ben Bernanke davanti alla commissione economica del Congresso. Specie considerando il terreno preparato dal dato macroeconomico diffuso in giornata sugli ordinativi di beni durevoli a febbraio. A fronte di un’attesa di consensus per una crescita al 3% dopo il crollo di gennaio, il dato ha evidenziato una crescita del 2,5% m/m con un calo della voce trasporti pari allo 0,1% (contro attese, in questo caso, per un rialzo dell’1,5%). Ancora più stonata per il mercato ha suonato la revisione al ribasso della già brutta rilevazione di gennaio, a -9,3% da -7,8%.
A incupire il clima ha poi contribuito l’incremento delle quotazioni del barile di petrolio. L’accrescersi delle tensioni tra Comunità internazionale e Iran dopo l’indurimento delle sanzioni Onu, la vicenda dei 15 marinai britannici in mano al regime degli Ayatollah, e il calo delle scorte settimanali di petrolio, benzine e distillati, hanno spinto il Brent sopra i 65,50 dollari al barile e il Light Sweet alle soglie dei 64.