Bce: inflazione, segnali positivi dai salari. Ma i dazi preoccupano

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La Banca Centrale Europea ha diffuso stamani i dati sui salari del cosiddetto “wage tracker”, il principale indicatore a disposizione dell’istituto di Francoforte per tracciare la crescita degli stipendi nella zona euro. I numeri rafforzano la fiducia della Bce in un progressivo rallentamento dell’inflazione, ma non mancano le incognite, legate soprattutto a una possibile guerra commerciale.
Crescita salari in rallentamento all’1,5% nel 4Q 2025
L’indicatore Bce sulla crescita salariale futura nella regione dell’euro prevede che gli stipendi aumenteranno dell’1,5% annuo nel quarto trimestre del 2025. Seppur superiore all’1,4% registrato a dicembre, il dato è nettamente inferiore al picco del 5,3% di un anno fa e alimenta le speranze per un rallentamento dell’inflazione.
La crescita dei salari, infatti, è una delle variabili monitorate con maggior attenzione dalla Bce ed è stata più volte citata da Lagarde e colleghi come un elemento di potenziale pressione al rialzo sui prezzi.
Bce cerca prove di discesa dell’inflazione dai dati
Nella riunione della scorsa settimana, la Bce ha abbassato i tassi di 25 punti base, portando il riferimento sui depositi presso la Bce al 2,75%. Si tratta del quinto taglio dall’inizio del ciclo di allentamento, il quarto consecutivo, ma presto potrebbero arrivarne altri. I mercati infatti scontano altre tre mosse entro luglio, per un valore complessivo di 75 punti base, con un taglio quasi certo nell’incontro del 6 marzo.
Come ribadito dalla presidente Lagarde e dagli altri membri del consiglio direttivo, il processo disinflazionistico è ben avviato ma necessita di conferme da parte dei dati. L’indicatore sui salari diffuso oggi offre un primo segnale in tal senso, in attesa di ulteriori prove. Un altro parametro chiave riguarda l’inflazione dei servizi, stabile da qualche mese intorno al 4% (3,9% a gennaio).
Analisti divisi su dinamica salari e inflazione
Lagarde ha affermato che “tutti gli indicatori al momento disponibili si stanno muovendo verso il basso e confermano la nostra fiducia nella discesa dei salari nel 2025”. Le prospettive di dicembre della Bce prevedono un rallentamento sostenuto della crescita degli stipendi, dal 4,6% del 2024 al 2,8% nel 2027. Molti economisti concordano con questa visione e anzi, temono persino una frenata eccessiva. La Bce, infatti, necessita di una minore crescita ma al tempo stesso non desidera né una decelerazione troppo ripida, né un netto deterioramento del mercato del lavoro.
Secondo Jens Eisenschmidt di Morgan Stanley, ex economista della Bce, un incremento dei salari negoziati inferiore al 2% dopo agosto 2025, come previsto dal tracker della banca centrale, suggerirebbero chiaramente “un’inflazione al di sotto del livello di riferimento”.
Holger Schmieding, economista capo di Berenberg, ritiene invece che “l’allentamento delle pressioni salariali nel 2025 sia un fenomeno temporaneo” e si aspetta una nuova accelerazione intorno al 4% nel 2026. Anche Marco Wagner, senior economist di Commerzbank, dubita che la crescita salariale possa rallentare come indicato dal tracker della Bce e sottolinea che l’attendibilità della metrica diminuisce per i periodi più lontani.
Bce teme guerra commerciale
Nel frattempo, il vicepresidente della Bce, Luis de Guindos, ha parlato del tanto discusso tasso neutrale, mettendone in dubbio l’utilità effettiva. Si tratta di “un concetto interessante dal punto di vista accademico, ma utilizzarlo come riferimento per le decisioni di politica monetaria non è l’approccio corretto, a mio avviso. L’intervallo del tasso neutro, basato su modelli diversi, può essere molto ampio”.
Guindos ha ribadito che l’entità della discesa dei tassi “dipenderà dai dati e dalla convergenza dell’inflazione verso il nostro obiettivo in modo sostenibile. Siamo fiduciosi che ciò accadrà quest’anno, ma ci sono ancora diverse incertezze, relative in particolare alla situazione geopolitica, di cui dobbiamo tenere conto”.
Secondo de Guindos, una guerra commerciale “avrà un impatto estremamente negativo sulle prospettive di crescita dell’economia globale. Gli aumenti delle tariffe rappresentano uno shock negativo per l’offerta, soprattutto se accompagnati da ritorsioni. Questo circolo vizioso dovrebbe essere evitato”, ha concluso.