Bankitalia lo conferma: rischio paese ergo spread rimane tarlo banche italiane
Il rischio paese continua a essere il tarlo che minaccia di divorare la redditività delle banche italiane e i progressi innegabili che gli istituti hanno compiuto in questi ultimi anni per far fronte all’annoso problema dei crediti deteriorati. Lo dice chiaramente il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, nelle Considerazioni finali dell’assemblea annuale, ribadendo così, seppur implicitamente e senza usare parole troppo forti, il rischio legato all’impennata dello spread.
Impennata che i titoli bancari italiani stanno pagando proprio in queste ore: il balzo del differenziale tra i tassi dei BTP e quelli dei Bund, che punta dritto verso quota 300 in vista della risposta italiana alla lettera Ue, continua a erodere le quotazioni delle banche: basta vedere cosa sta accadendo ai titoli delle due big italiane, UniCredit e Intesa SanPaolo.
E non solo a loro, visto che la fotografia del trend dei titoli bancari italiani, relativo alle ultime sei settimane, è impietosa: i numeri sono da vero e proprio campo di battaglia.
L’indice Ftse Italia All Share Banks è scivolato di oltre il 20%, passivo che solitamente viene identificato come quello di ingresso in mercato Orso. Bruciati quindi tutti i guadagni dei primi 3 mesi e mezzo dell’anno. Allargando l’orizzonte temporale, il saldo a 12 mesi è ampiamente negativo (-23% circa) e dai massimi del luglio 2015 l’indice delle banche italiane segna un crollo del 60%. Qui i trend dei singoli titoli.
Il rischio paese, insomma, quello di cui parla Visco nelle sue Considerazioni finali, rimane la spina nel fianco del sistema bancario italiano. Senza dimenticare che, oltre alla tensione presente sul mercato dei titoli di stato, c’è anche la pesante eredità della crisi economica, i cui effetti non sono stati ancora riassorbiti del tutto.
Così il governatore di Bankitalia:
“Anche se il rafforzamento dei bilanci delle banche italiane è proseguito nel 2018, gli effetti della crisi non sono ancora pienamente riassorbiti e rallentano la reazione degli intermediari ai profondi cambiamenti nella struttura del mercato, nelle abitudini della clientela, nella regolamentazione
finanziaria, nella tecnologia. Come nel resto dell’area dell’euro la redditività, pure in ripresa, resta bassa e l’incidenza dei costi operativi stenta a ridursi; le quotazioni di borsa riflettono questi andamenti”.
In questo scenario, qual è l’outlook per il settore?
“Le prospettive per le banche rimangono strettamente legate all’andamento dell’economia e alla percezione del ‘rischio paese’, che si riverberano sulla qualità degli attivi e sul costo da sostenere per reperire risorse sui mercati. Per il complesso del sistema il recupero dei coefficienti patrimoniali, che a metà dello scorso anno avevano risentito delle tensioni sui titoli pubblici, è in corso; alla fine del 2018 il patrimonio di migliore qualità (CET1) delle banche direttamente vigilate dalla BCE era pari al 12,7 per cento delle attività ponderate per i rischi, contro il 14,3 della media degli intermediari significativi dell’area dell’euro. Sviluppi congiunturali avversi tornerebbero inevitabilmente a incidere sui bilanci; permane la necessità di proseguire con decisione le azioni volte a ridurre i costi e migliorare la redditività”.
Viene certificato il lavoro che le banche hanno fatto nel ridurre la zavorra pesante dei crediti deteriorati:
“La consistenza delle esposizioni deteriorate si è ridotta in modo considerevole soprattutto a seguito di importanti operazioni di cessione; in complesso queste hanno riguardato 26 miliardi di prestiti deteriorati nel 2016, 42 nel 2017 e 55 nel 2018. Spinto dalle pressioni delle autorità di vigilanza, l’aumento delle vendite è stato favorito dai progressi delle banche nel fornire informazioni dettagliate sulle caratteristiche delle esposizioni e dallo sviluppo degli operatori specializzati nelle attività di recupero. Il tasso di copertura ha raggiunto il 52,7 per cento alla fine del 2018, un valore superiore di 6 punti percentuali a quello medio delle maggiori banche dell’area dell’euro. Il rapporto tra le esposizioni deteriorate e il totale dei finanziamenti è sceso, al netto delle rettifiche di valore, al 4,3 per cento per il complesso delle banche, dal 9,8 di fine 2015; secondo i piani richiesti dalla Vigilanza a tutti gli intermediari dovrebbe arrivare intorno al 3 per cento alla fine del 2021″.
E la differenza rispetto al passato è tutta nei numeri:
“Con il calo delle sofferenze conseguito negli ultimi anni, oltre la metà dei prestiti deteriorati netti delle banche è oggi costituita da esposizioni verso imprese in situazione di temporanea difficoltà (le cosiddette inadempienze probabili). È importante agire per favorirne il più possibile il rientro in bonis; come avviene in altri paesi, il ricorso a operatori specializzati, quali i fondi di turnaround, può fornire, eventualmente in associazione con le stesse banche, risorse e conoscenze funzionali al rilancio delle aziende in difficoltà”.
Detto questo, se è vero che nel 2018 la redditività delle banche è migliorata, “principalmente a seguito della riduzione delle rettifiche di valore sui crediti e del contenimento dei costi operativi” , il rapporto tra costi e ricavi è ancora elevato (66 per cento) e il rendimento del capitale (5,7 per cento) resta
inferiore a quello che gli investitori chiederebbero per sottoscrivere azioni di nuova emissione. Il divario, che risente anche del più elevato ‘rischio paese’, ostacola l’accesso al mercato e il rafforzamento della base patrimoniale degli intermediari italiani”.