Bankitalia, Camera esamina proposta FdI per sua nazionalizzazione. La polemica: è già proprietà dello Stato
Bankitalia sempre al centro dei riflettori, questa volta della Camera dei Deputati, che ieri ha dato il via all’esame della proposta di FdI (Fratelli d’Italia) di avviare la nazionalizzazione di Palazzo Koch, attraverso il ministero dell’Economia.
In base alla proposta presentata dal partito di Giorgia Meloni, la Banca d’Italia potrebbe essere nazionalizzata attraverso l’acquisto al valore nominale, da parte del Tesoro, delle quote oggi detenute da soggetti privati, come banche e assicurazioni.
Così Giorgia Meloni, leader di FdI, sulla sua pagina Facebook:
“Noi siamo per la vera indipendenza della Banca d’Italia: quella dal sistema bancario e finanziario. Il problema più spinoso e che viene sistematicamente eluso è che con l’attuale assetto di Bankitalia il controllore coincide con il controllato, e negli ultimi anni ne abbiamo viste le conseguenze. Chi ha paura della sovranità?”
La proposta sta sollevando non poche perplessità.
Tra queste, si mettono in evidenza quelle di Federico Fubini del Corriere della Sera, che ha scritto in un articolo pubblicato oggi che già i dati – anzi, i dividendi – mostrano come la Banca d’Italia sia già di proprietà dello Stato.
Ovvero?
«Basterebbe dare un’occhiata sul sito stesso di Bankitalia e alla Gazzetta ufficiale. Si capirebbe che l’Istituto è già in mano pubblica e che la proprietà delle riserve è già chiara: sono dello Stato, cioè degli italiani”.
“Basta vedere la ripartizione dei dividendi –continua Fubini – Nel 2017, ultimo anno disponibile, Bankitalia ha distribuito l’86,39% del suo utile netto dalla gestione delle riserve allo Stato. Cioè agli italiani che hanno incassato da Via Nazionale 3,3 miliardi di dividendo e 1,5 miliardi di imposte».
Riguardo agli istituti privati che detengono alcune quote di Bankitalia, Fubini fa notare che la questione “ha a che fare con i loro diritti economici e non con il controllo dell’Istituto o delle sue riserve da quasi mille miliardi».
A tal proposito, Reuters ricorda che i principali detentori delle quote di Bankitalia sono Intesa San Paolo, Unicredit e Assicurazioni Generali, ma anche Carige.
E sottolinea che, “se la riduzione forzosa del valore delle quote non venisse indennizzata, gli attuali partecipanti al capitale subirebbero perdite ingenti. Viceversa, lo Stato dovrebbe sostenere oneri elevati in caso di indennizzi“.
Sempre Reuters fa notare che “con una legge del 2013 il capitale della Banca d’Italia è stato rivalutato a 7,5 miliardi, in 300.000 quote. La proposta Meloni prevede che lo Stato riacquisti le quote al precedente valore storico, di circa 155.000 euro”.
L’Agi dedica alla proposta sulla nazionalizzazione di Bankitalia un ampio approfondimento, in cui risponde alla domanda: “Cosa significa riportare l’istituto in mani pubbliche?”.
La risposta è la seguente:
“L’attuale assetto di Bankitalia risale alla legge bancaria del 1936. Prima di allora la Banca d’Italia era una società quotata in borsa che prestava denaro alle imprese, ovvero una banca come tutte le altre. Il governo fascista decise invece di farne una “banca delle banche”, ovvero una banca centrale moderna, e a tale scopo espropriò gli azionisti privati e cedette le loro quote a enti finanziari di rilevanza pubblica. Il problema è che, con le privatizzazioni del ’92, tali enti hanno smesso di essere sotto il controllo dello Stato. È quindi verissimo che l’assetto azionario attuale è in aperta contraddizione con la ratio della legge del 1936, che aveva avuto come obiettivo proprio far sloggiare i privati da Palazzo Koch.
Bankitalia: ha senso proposta FdI?
La domanda però resta la stessa: a cosa serve, di fatto, nazionalizzare Bankitalia se ormai le decisioni si prendono a Francoforte? Si potrebbe sottolineare che, qualora il governo volesse prepararsi a uno scenario di uscita dalla zona euro, o quantomeno a uno smantellamento coordinato (per Paolo Savona il cigno nero non è un’Italia che decide di uscire dalla moneta unica ma un’Italia che ne viene buttata fuori), la nazionalizzazione delle quote sarebbe il presupposto inevitabile di un simile scenario. Insomma, non è detto affatto (anzi, è molto improbabile) che i sovranisti italiani vogliano abbandonare l’euro loro sponte ma è lecito supporre che vogliano prepararsi a tale prospettiva.
Anche qui viene messo in evidenza però il nodo degli indennizzi. L’Agi spiega:
“Se la discussione sui possibili obiettivi della riforma è complessa, molto più prosaica è quella sui costi dell’operazione. Già, perché il provvedimento intende far acquisire al ministero dell’Economia le 300 mila azioni in mano agli azionisti al loro valore nominale, che all’epoca era pari a 300 milioni di lire, 156 mila euro odierni. Con la legge del 2013, il capitale di Bankitalia è però stato rivalutato a 7,5 miliardi e solo un terzo degli attuali azionisti ha acquistato le azioni all’attuale valore nominale di 25 mila euro l’una. L’altro 67% dei soggetti che partecipano al capitale le aveva pagate mille lire all’epoca in cui treni arrivavano in orario. Queste società sarebbero quindi titolate a chiedere un indennizzo il cui conto ammonterebbe a diversi miliardi. Perché le quote di Bankitalia, pur non essendo cedibili sul mercato, costituiscono nondimeno un attivo nei loro bilanci. Le “criticità” di cui parlava Borghi sono proprio queste”.
Il riferimento è a quanto detto Borghi in merito alla proposta di FdI. Il responsabile economista della Lega e presidente della Commissione bilancio della Camera ha infatti sottolineato che sarebbe “troppo complicato mettere mano al sistema delle quote, potrebbe essere un’occasione per parlare della governance ma, così come è disegnata, ha delle criticità economiche”.
Proseguono intanto le discussioni su chi deve decidere sull’oro depositato nei forzieri di Bankitalia.
Oro Bankitalia: leader FdI attacca Conte
Ieri un pesante affondo contro il premier Giuseppe Conte è arrivato dalla leader di FdI Giorgia Meloni:
“Questo è tradimento della Patria! Oggi il presidente del Consiglio Conte, rispondendo al Senato a un esplicito quesito di Fratelli d’Italia, ha dichiarato che le riserve auree italiane appartengono alla Banca d’Italia e alla BCE, non allo Stato e al popolo italiano. Neppure Monti, Letta, Renzi e gli altri governi asserviti alle banche e alla grande finanza erano arrivati a tanto. Oggi Conte vuole regalare ai banchieri anche l’oro del popolo italiano. Fratelli d’Italia non permetterà questo atto di tradimento: giù le mani dalle riserve auree del popolo italiano”.
Così Conte rispondendo al Senato:
“In merito alla questione posta dall’interrogante, segnalo che le riserve auree sono sempre state iscritte all’Attivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia e che tra le operazioni di sua pertinenza sono sempre rientrate “l’acquisto e vendita di oro o valute auree”.
“Anche dopo il superamento del gold standard, le banche centrali hanno continuato a possedere riserve auree, al fine di rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario e della moneta e di diversificare il valore delle loro attività di riserva per mantenerne equilibrato il valore. Con il Trattato di Maastricht, per volontà degli Stati contraenti, sono state trasferite in maniera esclusiva all’Unione europea le competenze sovrane in materia di politica monetaria. Di conseguenza, la detenzione e la gestione delle riserve valutarie, fra cui quelle auree, rientra ora fra i compiti fondamentali dell’Eurosistema, composto dalla Bce e dalle Banche centrali nazionali degli Stati dell’area dell’euro”.
“Le riserve auree nelle disponibilità delle Banche centrali nazionali possono essere utilizzate, oltre che per interventi sul mercato dei cambi, anche per adempiere agli impegni nei confronti di organismi finanziari internazionali o per espletare il servizio di debito in valuta del Tesoro. Inoltre, non sembra possibile che le riserve auree possano essere rivendicate dai partecipanti al capitale di Banca d’Italia, i cui diritti patrimoniali sono limitati al valore del capitale e agli utili netti annuali”.
“Le Banche centrali nazionali – ha detto ancora Conte – debbono poter esercitare i loro poteri di detenzione e gestione delle riserve in piena indipendenza. Le autorità nazionali, legislative e di governo, sono tenute al rispetto dell’indipendenza della BCE e delle BCN ai sensi dei Trattati europei sottoscritti dagli Stati contraenti. Sotto il profilo dell’indipendenza istituzionale, le BCN non possono essere destinatarie di prescrizioni vincolanti per quanto attiene allo svolgimento dei propri compiti istituzionali nelle materie di competenza dell’Eurosistema, anche con riguardo alle riserve valutarie (art. 130 del Trattato ed art. 7 dello Statuto del SEBC)”.
“Gli Stati – ha continuato al Senato il presidente del Consiglio – devono altresì rispettare l’indipendenza finanziaria delle banche centrali, assicurando che esse abbiano sufficienti risorse finanziarie per svolgere i propri compiti. Gli Stati membri hanno deciso infine di vincolarsi al rispetto del divieto di finanziamento monetario (art. 123 del Trattato). Esso impedisce alle Banche centrali nazionali, a tutela del perseguimento dell’obiettivo di stabilità dei prezzi e del mantenimento della disciplina fiscale, di erogare credito allo Stato e agli altri enti pubblici, incluso il finanziamento degli obblighi del settore pubblico nei confronti dei terzi”.
“La BCE ha precisato che il divieto comprende qualsiasi erogazione finanziaria, anche in assenza di un obbligo di restituzione, al fine di tenere conto della finalità ultima della norma. Il trasferimento non oneroso – o comunque effettuato a prezzi inferiori a quelli di mercato – di attività finanziarie dal bilancio della Banca d’Italia a quello dello Stato rientrerebbe pertanto in tale divieto. Risulta quindi dall’assetto normativo descritto che la proprietà delle riserve auree nazionali è della Banca d’Italia, ente pubblico che svolge le funzioni di banca centrale della Repubblica Italiana. L’utilizzo della riserva aurea rientra tra le finalità istituzionali della Banca, a tutela del valore della moneta”.
“Un intervento normativo volto a modificare gli assetti della proprietà aurea della Banca d’Italia, ancorché nell’ambito della discrezionalità politica del legislatore nazionale, andrebbe valutato, sul piano della compatibilità, con i principi basilari che regolano l’ordinamento del Sistema Europeo delle Banche Centrali”, ha concluso il premier. Ma le sue dichiarazioni hanno, per l’appunto, scatenato l’ira della leader di FdI.