Notizie Notizie Mondo “Il 2017 sarà il banco di prova della globalizzazione”

“Il 2017 sarà il banco di prova della globalizzazione”

29 Dicembre 2016 12:08
 
 
Il 2017 sarà l’anno della “verifica” per il processo di globalizzazione, da anni ritenuto ineluttabile. Negli Stati Uniti, come in altri Paesi avanzati, si va sempre più diffondendo un’ondata di anti-globalizzazione, che mantiene molto alta l’attenzione sui temi dell’internazionalizzazione. La spinta contro l’apertura dei mercati, soprattutto da parte di alcune classi sociali, è maturata dalla crisi economico-finanziaria internazionale e dall’idea che molti mali che affliggono le economie avanzate siano attribuibili al processo di integrazione con le economie emergenti e alle pressioni provenienti da queste ultime. In parallelo, è dal 2011 che si registra  un rallentamento sostanziale nella crescita degli scambi mondiali, dopo molti anni di aumenti sostenuti. Le stime di crescita degli scambi mondiali per il 2016 sono state tagliate di quasi un punto dalla World Trade Organization (WTO) all’1,7%, e per il 2017 non sono previste accelerazioni. E’ difficile per tutti gli osservatori formulare oggi previsioni su ciò che accadrà agli scambi nei prossimi anni: oltre alla notevole incertezza sui Paesi emergenti, che nell’ultima decade hanno fatto da traino agli scambi internazionali, sulle previsioni pesa anche il mutato scenario politico, che potrebbe ridurre l’apertura internazionale di molti Paesi. “Per alcuni economisti questo rallentamento nella globalizzazione è un indicatore preoccupante, per altri si tratta semplicemente di un fenomeno fisiologico”, spiega Lucia Tajoli, Senior Associate Research Fellow dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) e del Politecnico di Milano.
 
Murky protectionism
 
Come spiega Tajoli, nonostante il livello medio dei dazi sia storicamente molto basso, da dopo la crisi finanziaria internazionale si è registrato un tendenziale aumento di misure protezionistiche “non tradizionali” e di sostegno delle industrie nazionali. Si è parlato di “murky protectionism”, o “protezionismo strisciante”, perché non sono state introdotte, a parte qualche rara eccezione, misure in violazione degli accordi presi in sede multilaterale con il WTO, ma è stata più volte ventilata la possibilità di ricorrere ad alcune misure “legittime” di emergenza o di regolamentazione, e molte di queste sono state effettivamente utilizzate, soprattutto nei Paesi emergenti.
 
Nuove geometrie
 
A questa tendenza si aggiunge, dal lato delle economie avanzate, il percorso di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, con conseguenze sul commercio internazionale dell’area ancora da valutare, ma potenzialmente rilevanti, e il probabile cambio di direzione della politica commerciale della nuova amministrazione americana. “Trump, anche prima di candidarsi alla presidenza Usa, ha dichiarato per anni che gli Stati Uniti hanno negoziato con i principali partner commerciali accordi non favorevoli che vincolano troppo la loro economia – dice Tajoli – Rinegoziare i termini di questi accordi sarà una priorità importante per la sua amministrazione, anche perché questo punto ha rivestito un ruolo centrale nella campagna elettorale”.  Ma che cosa significa in pratica per la politica commerciale americana? “In realtà si sa poco sulle politiche specifiche in quest’ambito, e la nuova amministrazione avrà ampia libertà nel modo in cui perseguire accordi commerciali”, risponde Tajoli. Si sa però che, dopo l’elezione, il futuro presidente ha promesso di rivedere la Trans-Pacific Partnership (TPP) e di, “negoziare equi accordi commerciali bilaterali che creino posti di lavoro e riportino l’industria di nuovo sulle coste americane.” “Sulla base di queste dichiarazioni, è possibile immaginare scenari piuttosto diversi, alcuni con un impatto modesto per l’economia mondiale, e potenzialmente anche con migliori soluzioni a lungo termine per le aziende americane. Ma altri che potrebbero far saltare le basi della moderna economia globale, mettere in pericolo migliaia di miliardi di dollari di commercio internazionale, e indurre una recessione in tutto il mondo”, spiega Tajoli.
 
I prossimi negoziati in discussione
 
Vi è incertezza soprattutto sul destino dell’accordo di libero scambio nordamericano NAFTA, che Trump ha affermato ripetutamente di volere rinegoziare. Questa revisione però, secondo Tajoli, non avrebbe necessariamente implicazioni catastrofiche: “Di fatto la possibilità concreta di un abbandono del NAFTA da parte degli Stati Uniti appare piuttosto improbabile – spiega la docente – Dopo vent’anni di esistenza dell’accordo, la struttura produttiva del Nord America si è riorganizzata, sapendo di non avere ostacoli doganali tra i tre Paesi, e creando importanti catene di produzione attraverso tutto il continente. Spezzare queste catene produttive arrecherebbe notevoli danni all’economia americana”. “Tuttavia – aggiunge Tajoli – dato che l’accordo è stato negoziato in uno scenario molto diverso da quello attuale, ci sono possibilità di ammodernare l’accordo in modi che preservino i legami profondamente intrecciati dell’economia nordamericana”.
 
I negoziati che salteranno
 
Molto diverso appare il futuro di altri grandi accordi commerciali più recenti, quello già accennato trans-pacifico (TPP) e quello transatlantico (TTIP). Dopo l’elezione, Trump ha affermato che una delle sue prime mosse da presidente sarà quella di ritirare gli Stati Uniti dal TPP, da lui presentato come una versione estesa e peggiorata del NAFTA, con effetti deleteri sui posti di lavoro americani. “Queste dichiarazioni – spiega Tajoli – sono risultate molto preoccupanti soprattutto per i tradizionali partner asiatici degli Stati Uniti, prima di tutti il Giappone, non solo per i mancati benefici economici che l’accordo potrebbe portare, ma soprattutto perché apre grandi spazi di manovra alla Cina, che da tempo cerca di aumentare la propria influenza in Asia”. Anche se teoricamente gli altri undici firmatari del TPP potrebbero portare avanti l’accordo senza gli Stati Uniti, questa opzione sembra poco realistica. Ancora più improbabile è la conclusione del partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP), l’accordo preferenziale di libero scambio in corso di negoziazione tra Unione Europea (UE) e Washington. “Trattandosi di accordi non ancora implementati, il loro abbandono non dovrebbe impattare direttamente sul commercio mondiale nel breve termine, anche se potrebbe avere effetti a medio termine sugli scambi tra le aree coinvolte”, spiega Tajoli.
 
Nuovi dazi?
 
I problemi potenzialmente più seri, secondo la docente del Politecnico, potrebbero nascere invece sul fronte multilaterale. L’amministrazione Trump potrebbe infatti aprire presso il WTO una serie di controversie in settori in cui ritiene che gli Usa non siano stati trattati correttamente dai propri partner. Oppure il governo potrebbe invocare le clausole di emergenza del WTO per aumentare le tariffe su un’ampia base di merci importate da un determinato Paese, come nel caso della tariffa del 45% sulle importazioni cinesi che Trump ha minacciato di introdurre durante la campagna elettorale, oppure una tariffa destinata a salire fino a quando il deficit commerciale Usa non declina. “Questi provvedimenti potrebbero essere dirompenti, perché potrebbero creare forti effetti a catena – dice Tajoli – In sede WTO ci sarebbero sicuramente battaglie legali da parte delle industrie del Paese preso di mira, così come rappresaglie rapide e potenzialmente dure da parte dei partner commerciali. La Cina (o il Messico, o il Giappone) non subirebbero passivamente questo tipo di misure”. Il che significa che questi eventuali provvedimenti potrebbero dar luogo a guerre commerciali economicamente travolgenti. Le versioni più estreme della politica commerciale di Trump, sebbene molto improbabili, potrebbero infatti devastare l’intero sistema di connessioni economiche globali che gli Stati Uniti hanno contribuito a costruire a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. “Se l’amministrazione americana perdesse le controversie commerciali portate davanti al WTO – si domanda Tajoli – gli Stati Uniti rispetterebbero le sentenze modificando le politiche e rientrando nelle regole, oppure darebbero seguito alla minaccia di Trump di abbandonare questa organizzazione, il cui scopo è quello di organizzare il sistema di commercio globale?”.