Mercato obbligazionario sull’ottovolante nel 2017. Ma buone prospettive per il corporate Usa grazie alla tassazione promessa da Trump
Il mondo non è più economicamente sincronizzato come lo è stato negli ultimi 7-8 anni. E probabilmente nei prossimi mesi assisteremo a una maggiore divergenza, sia tra le maggiori economie mondiali sia tra le economie in via di sviluppo, tra quelli che riusciranno a rivedere il proprio modello di business e quelli che non troveranno nuovi modelli. E’ questa l’opinione di Bob Jolly, Head of Global Macro Strategy di Schroders, che ha dato alle stampe il suo outlook per il 2017. Per quanto riguarda il mondo dei bond, lo strategist ritiene improbabile nei prossimi mesi rivedere i rendimenti reali e nominali estremamente negativi registrati nel corso dell’estate del 2016, ma è altrettanto improbabile che i rendimenti possano tornare sui livelli ai quali gli investitori si erano abituati prima dello scoppio della crisi finanziaria. “Nel 2017, le montagne russe offriranno la possibilità di una nuova corsa, interessante e potenzialmente remunerativa per i gestori attivi”, dice Jolly.
Il bazooka fiscale
Il 2017 sarà quindi un altro anno sull’ottovolante per i mercati obbligazionari globali, a causa delle numerose incertezze che permangono, a partire dalla strategia del Governo britannico sulla Brexit, per passare dagli appuntamenti elettorali dell’Eurozona, fino ai piani del presidente Trump in materia commerciale. Inoltre, i tassi di interesse sempre più bassi e i QE sempre più ampi, che erano stati pensati dalle Banche centrali per far ripartire i consumi, hanno decisamente sottostimato la reticenza dei consumatori a spendere e investire. Le Banche centrali hanno quindi alimentato l’idea che debbano essere i Governi a stimolare l’economia tramite le politiche fiscali. “È vero che il debito globale è diventato più conveniente da finanziare – dice Jolly – ma i livelli di indebitamento sono ancora proibitivi e non permettono il ricorso a un bazooka fiscale”. Come spiega lo strategist, anche negli Usa gli stessi repubblicani probabilmente attenueranno gli ambiziosi piani fiscali di Trump. Un bazooka fiscale è quindi improbabile, anche negli Stati Uniti.
Segnali positivi dagli States
I tempi non sono ancora maturi quindi per la normalizzazione delle politiche monetarie e i timori strutturali, seppur in forma attenuata, restano sullo sfondo. “La Cina, per esempio, continua a spendere ben oltre le sue possibilità di lungo termine, molte economie emergenti devono ancora trovare nuovi modelli di crescita, il ritmo delle riforme in Europa ha rallentato, e il Giappone è ancora impantanato in uno scenario di bassa crescita e bassa inflazione”, elenca Jolly. Diversa la prospettiva degli Stati Uniti, dove l’inflazione, che ha accelerato al rialzo dopo la vittoria di Trump, ha ancora spazio per salire ulteriormente, soprattutto se l’America diventerà più protezionista. “Il dollaro può apprezzarsi leggermente, ma dobbiamo essere sempre più selettivi e decidere se adottare una visione rialzista sull’economia Usa grazie al cambio, o se rimanere più difensivi nei confronti dei Treasury bond – dice Jolly – I due elementi sono legati: per quanto riguarda il settore corporate, i cambiamenti a livello di tassazione che intende introdurre Trump potrebbero evitare ulteriori indebitamenti, il che ovviamente rappresenta un segnale positivo per gli investitori sia in obbligazioni investment grade che in bond high yield”.