Notizie Notizie Italia Telecom Italia: al via l’assemblea. Patuano, teorema Fossati non dimostrato. Salvare il Cda

Telecom Italia: al via l’assemblea. Patuano, teorema Fossati non dimostrato. Salvare il Cda

20 Dicembre 2013 12:00

Ha preso avvio l’attesissima assemblea di Telecom Italia convocata per la proposta di revoca dell’attuale Cda da parte dell’azionista Findim di Marco Fossati detentore del 5% del capitale. All’assise, riunitasi a Rozzano, è presente il 50,57% del capitale. L’amministratore delegato, Marco Patuano, ha preso subito la parola: “Telecom Italia è stata nel recente passato descritta come un’azienda in crisi non solo economica e finanziaria ma anche di idee e strategie. Questo non è vero“, ha voluto sottolineare Patuano precisando che “il piano industriale mette al centro l’investimento, senza trascurare il debito” e confermando “gli investimenti domestici per oltre 9 miliardi di euro nei prossimi tre anni, ma questa volta dedicando ben 3,4 miliardi esclusivamente alle tecnologie più innovative per lo sviluppo delle reti e dei  servizi di nuova generazione”.

Patuano è poi espresso la sua convinzione che il teorema di Marco Fossati alla base della revoca del Cda secondo cui Telefonica controlla di fatto il board, non è dimostrato e che quindi il Cda non deve essere revocato . “Il socio Findim si è limitato ad asserire, senza provare,  l’eterodirezione di Telefonica verso il consiglio di Telecom Italia, secondo un teorema indimostrato che colpisce indifferentemente tutti, con la sola eccezione del professor Luigi Zingales“, ha detto l’Ad.

Il manager ha poi difeso la cessione di Telecom Argentina, definendola “una buona operazione“. Per Patuano “si è trattato di cogliere l’opportunità di uscire da un investimento in una società che, benché sana, si trova in un Paese caratterizzato da alta volatilità. L’alternativa alla vendita avrebbe dovuto essere, prima o poi, un ulteriore rafforzamento della nostra quota di interessenza economica nella partecipazione, che era infatti limitata al 22,7%”, e questo avrebbe rappresentato “un rischio finanziario incompatibile con il focus del nostro piano”.

Nel frattempo la Procura di Roma ha fatto sapere in una nota che non vi sono indagati per il reato di ostacolo alla vigilanza nè per alcun altro reato. Il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Nello Rossi fanno riferimento all’inchiesta su Telco e Telecom Italia riportata questa mattina dalla stampa nazionale. La Procura di Roma, spiega la nota, sin dai primi giorni di ottobre di quest’anno, ha doverosamente seguito gli sviluppi della vicenda Telecom, sollecitando e intrattenendo con la Consob i fisiologici scambi di informazioni tra autorità giudiziaria e organo di vigilanza previsti dal Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria anche nelle ipotesi in cui non siano ravvisabili reati. In questo quadro si iscrive anche l’audizione di Franco Bernabè, conclude la Procura.

Secondo quanto riportato dalla stampa, i magistrati starebbero indagando sull’ipotesi di reato di ostacolo all’attività di vigilanza per il passaggio delle quote in Telco relative al controllo di Telecom Italia e la cessione di Telecom Argentina. In particolare, a detta delle voci, la Procura romana starebbe indagando sulla possibilità che ci sia stata un’intesa occulta tra i maggiori azionisti di Telecom per favorire l’ascesa di Telefonica, eludendo ai controlli dell’autorità prima fra tutte la Consob. E proprio ieri l’ex presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè, è stato ascoltato per tre ore dal procuratore aggiunto, Nello Rossi, e dal pubblico ministero, Francesca Loy, come persona informata dei fatti.

Tre sarebbero i punti contestati in merito all’accordo stipulato il 24 settembre scorso tra i soci di Telco (Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca) e Telefonica. L’aumento di capitale sottoscritto dalla sola Telefonica; le modalità di emissione ritenute anomale del prestito convertendo da 1,3 miliardi sottoscritto dal fondo BlackRock; la vendita di Telecom Argentina al fondo Fintech per 800 milioni di euro, prezzo considerato troppo basso rispetto al reale valore dell’azienda.