Notizie Notizie Mondo Economia globale: nel 2016 ci attende una crescita simile a quella del 2015

Economia globale: nel 2016 ci attende una crescita simile a quella del 2015

7 Dicembre 2015 10:29

Niall O’Leary, head of Emea Portfolio strategy di State Street GA non nasconde la sua delusione quando guarda all’anno appena trascorso. “Ci aspettavamo di più, tutti si aspettavano di più – spiega nel corso della presentazione dell’outlook 2016 – ma la crescita economica globale alla fine è rimasta modesta”. La vera cattiva notizia riguarda però il nuovo anno che “non sarà un anno troppo diverso. Se il 2015 ha visto una crescita mondiale vicina al 3%, il 2016 farà lo stesso con una serie di fattori di incertezza che continueremo a trascinarci dietro, in primo luogo le tensioni geopolitiche. Ciò non significa – precisa O’Leary – che non ci siano opportunità di investimento, soprattutto se si adotta l’orizzonte corretto, il medio-lungo termine”.
Secondo le indicazioni dello strategist il risparmiatore dovrebbe preoccuparsi di ottenere un’adeguata remunerazione del proprio capitale nel lungo termine, costruirsi una sicurezza per il futuro. Invece spesso accade il contrario e “i manager, i gestori di fondi, vengono misurati sulla distanza dell’anno”. Per spiegare quanto possa mutare il risultato di un investimento tra il breve termine (un anno) e il lungo termine (10 anni), O’Leary ipotizza ritorni sull’azionario dei mercati sviluppati del 4,4% a un anno e del 6,3% a dieci anni. Per i mercati emergenti, sugli stessi orizzonti temporali, i rendimenti sarebbero rispettivamente del 3,9% e del 7,1%. Nel breve meglio i mercati sviluppati, nel lungo quelli emergenti. 
Stati Uniti: crescita del 2,5% e tassi Fed all’1% per fine 2016
All’interno di una crescita globale che dovrebbe rimanere pallida, secondo O’Leary gli Stati Uniti che dovrebbero registrare una crescita del 2,5% in linea con quanto fatto quest’anno. “Tra i fattori di sostegno per l’economia statunitense, anche se fornirà solo una spinta marginale, ci sarà l’incremento delle spese governative, non solo perché si entra in un anno elettorale. Già nel corso del 2014 si è registrata una svolta dopo gli anni dell’austerità”. Nel frattempo la Fed alzerà i tassi di interesse dopo aver tergiversato a lungo: “La Federal Reserve vuole uscire dalla politica dei tassi a 0 ma finora la sua volontà è rimasta frustrata. All’inizio dell’anno un primo trimestre molto debole, penalizzato dallo sciopero nei porti della costa Ovest e dal clima e poi ad agosto le turbolenze innescate dalla svalutazione dello yen in Cina hanno consigliato di rimandare il primo ritocco”. Ora però ci siamo. Il prossimo 16 dicembre la Banca centrale americana rialzerà i tassi di interesse dello 0,25% “a meno di forti shock di sistema”. La previsione di O’Leary sul cammino che la Fed seguirà nel corso del 2016 si colloca nella parte alta delle stime di consensus: “Nel complesso ci aspettiamo un rialzo complessivo di 100 punti base, in pratica 0,25% ogni trimestre“.
Eurozona: crescita +1,6% e parità di euro/dollaro
Se gli Stati Uniti non andranno oltre una conferma di quanto fatto nel 2015, l’Eurozona riuscirà invece a migliorarsi e a portare a casa, nel 2016, una crescita dell’1,6%, lo 0,2% in più rispetto all’anno che si sta per chiudere. “Può sembrare poco – commenta O’Leary – ma per l’Europa si tratta di un buon risultato e un ulteriore passo avanti sulla strada di un miglioramento graduale. Il vero problema per l’Europa rimangono i problemi strutturali come l’elevata disoccupazione, soprattutto in alcuni Paesi periferici come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia”. Un problema che si affronta adottando le riforme che lo stesso governatore della Banca centrale europea Mario Draghi ha più volte richiesto. “Negli ultimi sette anni la crescita in Eurozona è stata sostanzialmente stagnante. Paesi come l’Italia e la Francia sono stati molto lenti a incamminarsi sulla strada delle riforme e ancora oggi procedono con passo frenato. Uno dei sostegni alla crescita arriverà ancora dalla Bce, nonostante la delusione data ai mercati nell’ultima riunione. “Mario Draghi ha fatto un grandissimo lavoro. È riuscito a costruire una strategia e un consensus attorno a questa strategia nonostante le pressioni della Bundesbank. Gli effetti del Quantitative easing cominciano a farsi sentire sul credito e l’economia europea ne beneficerà nel corso dell’anno”. Continuerà anche il contributo positivo derivante dal basso costo dell’energia mentre l’euro/dollaro “potrebbe arrivare alla parità anche prima di quanto preventivato considerando la divergenza delle politiche monetarie di Fed e Bce 
Giappone: crescita +1% e Abenomics in crisi di fiducia
Poche parole e poca fiducia sul Giappone dove “non ci sono molte prove che l’Abenomics stia funzionando. Se guardiamo all’andamento della crescita e dell’inflazione prima e dopo l’adozione della politica economica di Abe, non si registra alcun cambiamento. Il Pil era volatile prima ed è rimasto volatile dopo mentre l’inflazione, dopo un inizio promettente, è tornata verso lo 0. Inoltre in Giappone non abbiamo visto finora grandi riforme strutturali tanto che, sotto questo aspetto, il confronto è perdente sia contro l’Italia che contro la Francia. Per il prossimo anno prevediamo una crescita dell’1% in Giappone con il traino positivo che potrebbe derivare dai bassi prezzi dell’energia e da nuovi interventi della Bank of Japan”.
Emergenti: frenata ma non crash
Sono stati la croce del 2015. La loro crescita ha deluso e particolarmente importanti sono stati i freni arrivati dalla Russia, dal Brasile e soprattutto dalla Cina che rappresenta il 25% del totale delle economie emergenti. Le quali per contro hanno un peso del 50% all’interno dell’economia globale, destinato a salire al 60% entro i prossimi dieci anni. “Per quanto riguarda la Cina ci aspettiamo un rallentamento della crescita al 6% dopo il 6,8% registrato quest’anno. Ci sono rischi su questa previsione, legati all’affidabilità dei dati macroeconomici cinesi, ma dovrebbe essere una stima accettabile. Per quanto riguarda il Brasile e la Russia, infine, dovrebbero tornare verso la crescita zero e smettere, pertanto, di sottrarre circa il 3% a testa di crescita all’economia globale”.