Wall Street sfida paura inflazione e tapering Fed, Buy the Dip fa salire il Nasdaq di oltre +1%: bene Apple, Amazon e Tesla
Wall Street continua a fare i conti con lo spettro dell'inflazione Usa - leggi spettro tapering e primo rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve -, ma reagisce dopo lo shock della vigilia. Protagonista soprattutto il rally dei tecnologici, con il Nasdaq che balza di oltre +1% a 13.188 punti; lo S&P 500 avanza dello 0,71% a 4.090,55 punti, mentre il Dow Jones sale di oltre 130 punti (+0,39%), a 33.695 punti circa.
All'indomani della pubblicazione dell'indice dei prezzi al consumo, l'indice dei prezzi alla produzione ha confermato il trend rialzista delle pressioni inflazionistiche, ben oltre le stime del consensus.
La borsa Usa tuttavia oggi non si scompone, anzi segna con il Nasdaq un forte recupero, sorretta dal ritorno degli acquisti su alcune Big Tech, come Apple e Amazon, con la prima che balza di oltre il 3% e Amazon che sale dell'1% circa. Alla base dei rialzi, ci sarebbe il fenomeno Buy the Dip, successivo ai pesanti ribassi delle ultime sessioni, che hanno visto i tecnologici particolarmente penalizzati.
Sotto i riflettori è anche Tesla, in crescita del 2% dopo che il ceo Elon Musk ha annunciato con un post su Twitter che il colosso non accetterà più il Bitcoin come mezzo di pagamento per gli acquisti delle sue auto elettriche. Musk ha motivato la decisione con le preoccupazioni sugli effetti negativi che il mining della criptovaluta numero uno al mondo avrebbe sull'ambiente. Il ceo di Tesla ha aggiunto che tornerà ad accettare i pagamenti in Bitcon "nel momento in cui ci sarà una transizione del mining verso una forma di energia più sostenibile".
Crollo del Bitcoin, che è affondato oggi fino a -17%. Sotto pressione anche il dogecoin.
Ma il titolo Tesla, che subito dopo la notizia perdeva terreno, ora è in rialzo.
Il dollaro americano fa dietrofront, a conferma dello smorzarsi della paura dell'inflazione: è l'euro che ha la meglio, facendo salire il rapporto EUR-USD dello 0,16% circa a $1,2091. Il dollaro è sotto pressione inoltre nei confronti dello yen, perdendo lo 0,12% a JPY 109,54. D'altronde anche i tassi sui Treasuries Usa retrocedono attorno all'1,68%. Le preoccupazioni sulla pandemia Covid-19 in India affossano inoltre i prezzi del petrolio, che cedono più del 2%, con il Brent che scivola a $67,74 e il WTI che cade del 2,5% a $64,44.
Tornando ai dati macro, nel mese di aprile l'indice dei prezzi alla produzione Usa è balzato su base mensile dello 0,6%, il doppio rispetto al +0,3% atteso dal consensus. Su base annua, l'indice dei prezzi alla produzione è volato del 6,2%, al ritmo più alto degli ultimi 11 anni, ovvero dal 2010, ben oltre il +4,2% stimato dal consensus. La componente core del dato, sempre su base annua, è cresciuta del 4,6%, al record dal 2014.
Ieri è stato comunicato l'indice dei prezzi al consumo, sempre di aprile, schizzato del 4,2% su base annua, ben oltre il +3,6% atteso dagli analisti, rispetto al +2,6% di marzo, e al ritmo più alto dal 2008. Su base mensile, il dato è balzato dello 0,8%, rispetto al +0,2% atteso e al +0,6% di marzo, riportando il rialzo mensile più forte dal 2009. Su base annua, escluse le componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni energetici e alimentari, il dato core è salito del 3%, oltre il +2,3% atteso e rispetto al +1,6% precedente. Su base mensile, il trend della componente core dell'indice dei prezzi al consumo è stato di un aumento dello 0,9%, ben oltre il +0,3% atteso, al ritmo più forte dall'aprile del 1982.
La paura dell'inflazione ha fatto crollare alla vigilia il Dow Jones di 681 punti, o dell'1,99%, in quella che è stata la sessione peggiore da gennaio. Lo S&P 500 ha ceduto il 2,1%, soffrendo la flessione peggiore da febbraio, mentre il Nasdaq Composite è scivolato del 2,6%.
C'è da dire che il boom dell'inflazione, negli States, si spiega con il cosiddetto 'base effects', ovvero con il fatto che, nell'aprile del 2020, con la pandemia Covid-19 negli Usa e le relative misure di lockdown varate dagli stati americani, l'inflazione era decisamente bassa.
A tal proposito, si ritiene che il trend delle pressioni inflazionistiche rimarrà distorto su base annua per diversi mesi ancora, a causa dell'impatto della pandemia.
Proprio per questo motivo, per ora la Federal Reserve di Jerome Powell non sembra preoccupata per l'inflazione.
Detto questo, nella giornata di ieri i mercati sono andati letteralmente in tilt, temendo che la Fed abbia sottovalutato il problema dell'inflazione e che il tapering del QE, così come il primo rialzo dei tassi dopo anni, possano arrivare prima del previsto.
Oggi a sostenere il sentiment è anche la pubblicazione del dato relativo alle richieste iniziali dei sussidi di disoccupazione, che hanno messo in evidenza che, nella settimana terminata l'8 maggio, il numero dei lavoratori che hanno presentato per la prima volta richiesta per ottenere i sussidi è sceso di 34.000 unità al minimo dall'inizio della pandemia Covid-19 di 473.000 unità. Il dato della settimana precedente è stato rivisto al rialzo dai 498.000 inizialmente riportati a 507.000 unità. Il trend del mercato del lavoro Usa misurato dall'indicatore si è confermato migliore delle attese degli analisti, che avevano previsto un dato pressocché invariato a 500.000 unità.
Nella settimana precedente terminata il 1° maggio, è risultato che il numero di lavoratori americani che continuano a percepire i sussidi è sceso di 45.000 unità a 3,66 milioni. In flessione anche la media mobile delle ultime quattro settimane, che ha indicato un calo delle richieste dei sussidi a 534.000, rispetto alle 562.250 unità della settimana precedente.
All'indomani della pubblicazione dell'indice dei prezzi al consumo, l'indice dei prezzi alla produzione ha confermato il trend rialzista delle pressioni inflazionistiche, ben oltre le stime del consensus.
La borsa Usa tuttavia oggi non si scompone, anzi segna con il Nasdaq un forte recupero, sorretta dal ritorno degli acquisti su alcune Big Tech, come Apple e Amazon, con la prima che balza di oltre il 3% e Amazon che sale dell'1% circa. Alla base dei rialzi, ci sarebbe il fenomeno Buy the Dip, successivo ai pesanti ribassi delle ultime sessioni, che hanno visto i tecnologici particolarmente penalizzati.
Sotto i riflettori è anche Tesla, in crescita del 2% dopo che il ceo Elon Musk ha annunciato con un post su Twitter che il colosso non accetterà più il Bitcoin come mezzo di pagamento per gli acquisti delle sue auto elettriche. Musk ha motivato la decisione con le preoccupazioni sugli effetti negativi che il mining della criptovaluta numero uno al mondo avrebbe sull'ambiente. Il ceo di Tesla ha aggiunto che tornerà ad accettare i pagamenti in Bitcon "nel momento in cui ci sarà una transizione del mining verso una forma di energia più sostenibile".
Crollo del Bitcoin, che è affondato oggi fino a -17%. Sotto pressione anche il dogecoin.
Ma il titolo Tesla, che subito dopo la notizia perdeva terreno, ora è in rialzo.
Il dollaro americano fa dietrofront, a conferma dello smorzarsi della paura dell'inflazione: è l'euro che ha la meglio, facendo salire il rapporto EUR-USD dello 0,16% circa a $1,2091. Il dollaro è sotto pressione inoltre nei confronti dello yen, perdendo lo 0,12% a JPY 109,54. D'altronde anche i tassi sui Treasuries Usa retrocedono attorno all'1,68%. Le preoccupazioni sulla pandemia Covid-19 in India affossano inoltre i prezzi del petrolio, che cedono più del 2%, con il Brent che scivola a $67,74 e il WTI che cade del 2,5% a $64,44.
Tornando ai dati macro, nel mese di aprile l'indice dei prezzi alla produzione Usa è balzato su base mensile dello 0,6%, il doppio rispetto al +0,3% atteso dal consensus. Su base annua, l'indice dei prezzi alla produzione è volato del 6,2%, al ritmo più alto degli ultimi 11 anni, ovvero dal 2010, ben oltre il +4,2% stimato dal consensus. La componente core del dato, sempre su base annua, è cresciuta del 4,6%, al record dal 2014.
Ieri è stato comunicato l'indice dei prezzi al consumo, sempre di aprile, schizzato del 4,2% su base annua, ben oltre il +3,6% atteso dagli analisti, rispetto al +2,6% di marzo, e al ritmo più alto dal 2008. Su base mensile, il dato è balzato dello 0,8%, rispetto al +0,2% atteso e al +0,6% di marzo, riportando il rialzo mensile più forte dal 2009. Su base annua, escluse le componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni energetici e alimentari, il dato core è salito del 3%, oltre il +2,3% atteso e rispetto al +1,6% precedente. Su base mensile, il trend della componente core dell'indice dei prezzi al consumo è stato di un aumento dello 0,9%, ben oltre il +0,3% atteso, al ritmo più forte dall'aprile del 1982.
La paura dell'inflazione ha fatto crollare alla vigilia il Dow Jones di 681 punti, o dell'1,99%, in quella che è stata la sessione peggiore da gennaio. Lo S&P 500 ha ceduto il 2,1%, soffrendo la flessione peggiore da febbraio, mentre il Nasdaq Composite è scivolato del 2,6%.
C'è da dire che il boom dell'inflazione, negli States, si spiega con il cosiddetto 'base effects', ovvero con il fatto che, nell'aprile del 2020, con la pandemia Covid-19 negli Usa e le relative misure di lockdown varate dagli stati americani, l'inflazione era decisamente bassa.
A tal proposito, si ritiene che il trend delle pressioni inflazionistiche rimarrà distorto su base annua per diversi mesi ancora, a causa dell'impatto della pandemia.
Proprio per questo motivo, per ora la Federal Reserve di Jerome Powell non sembra preoccupata per l'inflazione.
Detto questo, nella giornata di ieri i mercati sono andati letteralmente in tilt, temendo che la Fed abbia sottovalutato il problema dell'inflazione e che il tapering del QE, così come il primo rialzo dei tassi dopo anni, possano arrivare prima del previsto.
Oggi a sostenere il sentiment è anche la pubblicazione del dato relativo alle richieste iniziali dei sussidi di disoccupazione, che hanno messo in evidenza che, nella settimana terminata l'8 maggio, il numero dei lavoratori che hanno presentato per la prima volta richiesta per ottenere i sussidi è sceso di 34.000 unità al minimo dall'inizio della pandemia Covid-19 di 473.000 unità. Il dato della settimana precedente è stato rivisto al rialzo dai 498.000 inizialmente riportati a 507.000 unità. Il trend del mercato del lavoro Usa misurato dall'indicatore si è confermato migliore delle attese degli analisti, che avevano previsto un dato pressocché invariato a 500.000 unità.
Nella settimana precedente terminata il 1° maggio, è risultato che il numero di lavoratori americani che continuano a percepire i sussidi è sceso di 45.000 unità a 3,66 milioni. In flessione anche la media mobile delle ultime quattro settimane, che ha indicato un calo delle richieste dei sussidi a 534.000, rispetto alle 562.250 unità della settimana precedente.