Notizie Notizie Mondo Volcker illustra la riforma delle banche, l’opinione degli analisti di Allianz G.I.

Volcker illustra la riforma delle banche, l’opinione degli analisti di Allianz G.I.

2 Febbraio 2010 17:03

E’ previsto per la serata di oggi l’audizione di oggi in Senato dell’ex numero uno della Fed, e oggi consulente economico di Obama, Paul Volcker, sulle regole di riforma della finanza. Quello di oggi sarà il primo di due incontri che potrebbero dissipare le incertezze sulle proposte, espresse in termini molto generali, dal presidente. DealReporter, in una nota citata da Bloomberg, indica la possibilità che le proposte vengano modificate o anche cancellate. Sullo stesso tema e nel medesimo ambito, gli executive di Goldman Sachs, Jp Morgan e altre banche d’affari sottoporranno i loro rilievi il prossimo 4 febbraio.


Pubblichiamo un commento di Neil Dwane, Chief Investment Officer (CIO) Europe di RCM, società di Allianz Global Investors, sulle proposte di regolamentazione del presidente Obama.

 

Durante la scorsa settimana il Presidente Obama ha annunciato due proposte con le quali cerca di far fronte ai costi e agli strascichi della crisi finanziaria. La prima proposta prevede la formulazione di un metodo di tassazione dei bilanci delle banche statunitensi ed ha come obiettivo le 35 principali istituzioni finanziarie del Paese. Ciò dovrebbe produrre un flusso di entrate tale da “compensare” le perdite prive di copertura sostenute dal governo Usa per stabilizzare il settore finanziario dopo il crack di Lehman Brothers e AIG. Le recenti proposte prevedono inoltre nuove restrizioni sulle dimensioni e sulla libertà di azione delle istituzioni finanziarie.


Obama ha chiaramente affermato che molte delle difficoltà causate nel corso degli ultimi anni hanno avuto origine dalle operazioni di trading di “casinò” (soprattutto legate al private equity e agli hedge fund) in cui venivano tenuti in scarsa considerazione i relativi rischi. Obama intende quindi mettere dei paletti per limitare la libertà di azione delle “banche dei cittadini” rifocalizzandole sulle attività di cui gli stessi cittadini e gli elettori hanno effettivo bisogno. Ne consegue che, nel lungo periodo, il settore bancario continuerà ad essere un settore molto regolamentato e altamente competitivo, con sempre più scarse opportunità di leverage e di aumenti dei rendimenti per dipendenti e azionisti connessi a livelli di rischio crescenti. Di contro verrebbe incoraggiato un ritorno alla qualità dei prodotti e ad una riduzione dei costi per i servizi.Ciò dovrebbe produrre una sempre maggior convergenza tra gli interessi del governo e dei cittadini, lasciando che gli elementi di mercato a rischio più elevato vengano assorbiti nell’ambito di tutto il sistema capitalista. Nella sostanza, questo processo richiederà comunque diverso tempo anche perché la vendita forzata di questi asset finanziari da parte delle banche che scelgono di rimanere “banche del cittadino”, non è utile per nessuna delle parti.


Tuttavia vi potrebbero essere altre conseguenze per le “banche – casinò”, i proprietary trading, i private equity e gli hedge fund; in sostanza, maggiori requisiti patrimoniali tenderebbero a sostituire il meccanismo implicito di supporto da parte del governo (vedasi “discount window” della Federal Reserve) e condurre ad un accesso meno facile al credito a buon mercato. Queste misure ridurrebbero in modo significativo i rapporti di leva, che si erano creati grazie alle strette relazioni delle banche di investimento con i rispettivi clienti (private equity e hedge fund). In questo modo il costo del capitale potrà aumentare e gli investitori scopriranno così che molti dei “fantastici” ritorni dei proprietary trader e degli hedge fund erano alimentati unicamente dal leverage. In futuro è dunque lecito pensare che avremo rendimenti inferiori associati a commissioni minori.


 

La seconda proposta di Obama parte dal presupposto che in quasi ogni Paese OCSE le principali istituzioni finanziarie hanno bilanci più solidi del Paese stesso (gli esempi più vistosi in tal senso sono quelli di Islanda, Irlanda, Regno Unito e Svizzera). Tale proposta dovrebbe consentire al settore di diventare più gestibile dal punto di vista economico, nonché facilitare la scomparsa dell’enigmatico dogma “troppo grande per fallire” che ha caratterizzato il comportamento di molti top manager della finanza negli ultimi due anni.

 

Interessante notare che se si analizzasse la crescita negli USA e il reinvestimento nel suo sistema economico nel corso degli ultimi vent’anni, si scoprirebbe che il settore finanziario ha agito da rullo compressore nei confronti della maggior parte delle altre forme di investimento in Ricerca & Sviluppo, innovazione e attività manifatturiere; questo fatto è evidente al punto che oggi negli USA le telecomunicazioni, la rete stradale e il sistema scolastico sono assai scarsamente competitivi a livello mondiale, rendendo quindi urgente ridefinire le priorità economiche.


Una considerazione importante è che queste limitazioni alle opportunità di crescita negli USA potrebbero indurre molte banche statunitensi a espandersi a livello internazionale; ciò promuoverebbe tra l’altro la crescita di economie meno sviluppate che hanno bisogno di “importare” modelli finanziari più forti, ma limiterebbero ovviamente la crescita e i ritorni economici negli stessi USA. Inoltre va considerato che ci sono voluti quattro anni per attuare i cambiamenti necessari dopo l’ultima crisi finanziaria degli anni Trenta, per cui investitori, uomini politici, banche e cittadini potrebbero essere costretti a pazientare. Inoltre si tratterebbe di un processo non solo ad impatto globale, dal momento che ciascun Paese cercherà di risolvere i propri problemi nazionali, ma anche con conseguenze a cascata, in quanto ogni Paese adotterebbe al contempo gli spunti migliori degli altri governi.


È innegabile che il contesto politico e generale scelto per presentare queste proposte non sia stato casuale, dato che sono state rese note il giorno dell’annuncio dei risultati di Goldman Sachs. Ciò dimostra la completa incapacità del settore, a livello globale, di tenere nella giusta considerazione l’opinione che il cittadino medio (l’elettore) ha delle banche in quanto organizzazioni, della loro gestione e dei loro meccanismi di retribuzione. La stessa miopia sussiste nei confronti dell’opinione pubblica generale, con riguardo agli impatti economici locali e nazionali più importanti legati agli elevati livelli di disoccupazione e, a più lungo termine, alle probabili disattese promesse statali sul fronte del sistema pensionistico e assistenziale a causa del deficit pubblico e della crescente pressione fiscale.

 

Per contenere conseguenze più dannose sui cittadini legate appunto a drastici tagli della spesa pubblica, la classe politica può sempre ricorrere a meccanismi di crescita dell’inflazione che potrebbero poi far cadere il debito nazionale spalmandolo su un arco temporale maggiore.In termini di strategia di investimento, i mercati emergenti con un sistema bancario sottosviluppato potrebbero sembrare più interessanti per gli investitori che desiderano rimanere esposti in questo settore pesantemente colpito. Nelle economie sviluppate, ci si aspetta che gli investitori avranno coefficienti di capitale (equity) più alti, maggiore trasparenza e minori rendimenti. I proprietary trader possono rivolgersi agli hedge fund e al private equity dove il leverage può essere inferiore o più oneroso e i rendimenti possono decrescere, forzando il sistema ad adottare strutture di commissioni e di retribuzioni più contenute, e in tal modo sanando l’enorme squilibrio tra l’attuale livello retributivo nelle banche e l’utilità sociale del settore.

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