Notizie Notizie Mondo Varoufakis suona campane a morto per capitalismo e per tasso di interesse reale magico

Varoufakis suona campane a morto per capitalismo e per tasso di interesse reale magico

23 Marzo 2019 10:56

Un capitalismo stagnante. Si intitola così l’articolo che l’ex ministro delle finanze greco e attuale numero uno del movimento politico transnazionale Diem25, Yanis Varoufakis, ha pubblicato su Project Syndicate. Varoufakis suona le campane a morto per la fiducia nel capitalismo che “oggi, dopo il lungo decennio successivo alla crisi globale finanziaria del 2008, è di nuovo a pezzi”. Il motivo? Per Varoufakis la ragione va ravvisata in quello che è praticamente un vuluns endogeno al capitalismo e che viene individuato nella sua “tendenza naturale verso la stagnazione”.

“La crescita della destra razzista, la frammentazione del centro politico, le crescenti tensioni geopolitiche sono semplici sintomi del miasma del capitalismo”.

Secondo Varoufakis, di fatto, “un’economia caratterizzata da un capitalismo equilibrato richiede un numero magico, nella forma di quello che è il tasso di interesse reale (aggiustato tenendo conto dell’inflazione) prevalente. Si tratta di un numero magico, in quanto deve centrare due obiettivi e garantire insomma che si riescano a prendere due piccioni con una fava”.

Intanto, questo numero magico, “deve allineare la domanda degli imprenditori per i lavoratori salariati con la forza lavoro disponibile. In secondo luogo, deve rendere uguali i risparmi e gli investimenti“.

Ora, “se il tasso di interesse reale prevalente non riesce a garantire l’equilibrio sul mercato del lavoro, si finisce per assistere a fenomeni come la disoccupazione, il precariato, lo spreco potenziale del potenziale umano, la povertà. E se non riesce a portare il livello degli investimenti a quello dei risparmi, si finisce per assistere all’arrivo della deflazione, che si traduce in investimenti ancora minori”.

Secondo l’ex ministro delle finanze greco, supporre che questo numero magico esista è un atteggiamento quasi eroico.

“Com’è possibile, si chiede l’economista – noto per aver attaccato l’Unione europea per le politiche di austerity che hanno portato la Grecia allo stremo – che i sostenitori del libero mercato siano convinti del fatto che esista un unico tasso di interesse reale (facciamo finta che sia il 2%), che porterebbe gli investitori a canalizzare tutti i risparmi esistenti verso investimenti produttivi, e che inciterebbe al contempo gli imprenditori ad assumere chiunque desideri lavorare al salario prevalente (di mercato)?”

Secondo Varoufakis, la “fede nella capacità del capitalismo di generare questo numero magico deriva da un’ovvietà. Milton Friedman era solito dire che se una commodity non è scarsa, allora non ha alcun valore e deve essere prezzata a zero. Ciò significa che, se non è zero, deve essere scarsa e dunque, deve esserci un prezzo in corrispondenza del quale nessuna unità di quella commodity rimarrà invenduta. In modo simile, se il salario prevalente non è pari a zero, tutti quelli che vogliono un posto di lavoro lo troveranno”.

“Applicando la stessa logica ai risparmi, ovvero partendo dal presupposto che la moneta è capace di finanziare la produzione delle macchine che creeranno beni di valore, si arriva a stabilire che deve esistere un tasso di interesse abbastanza basso da consentire a ciascuno di poter prendere a prestito tutti quei soldi necessari per acquistare queste macchine. Per definizione, concludeva Friedman, il tasso di interesse reale si assesta, quasi automaticamente, a quel livello magico che elimina sia la disoccupazione che l’eccesso di risparmio”.

“Se ciò fosse vero – continua Yanis Varoufakis – il capitalismo non stagnerebbe mai”. E invece ciò accade, e per “tre ragioni. La prima, è che il numero magico non esiste. La seconda è che, se anche esistesse, non esiste un meccanismo che consentirebbe al tasso di interesse reale a convergere verso di esso. Terzo fattore, il capitalismo ha una tendenza naturale a usurpare i mercati attraverso il rafforzamento di ciò che John Kenneth Galbraith definiva una “tecnostruttura” manageriale simile a quella di un cartello”.

Varoufakis su capitalismo: nessun numero magico

Inoltre, “la situazione attuale dell’Europa dimostra ampiamente come non esista nessun tasso di interesse reale magico”. Basti pensare che “il sistema finanziario dell’Unione europea detiene fino a 3 trilioni di euro di risparmi che non riesce a investire in modo produttivo, anche se il tasso sui depositi della Bce è pari a -0,4%.

Allo stesso tempo, il surplus delle partite correnti dell’Ue relativo al 2018 si è attestato alla cifra astronomica di $450 miliardi. Per consentire al rapporto di cambio dell’euro con altre valute di scendere in modo sufficiente da eliminare il surplus delle partite correnti, il tasso di interesse della Bce dovrebbe scendere ad almeno il -5%: un valore che distruggerebbe le banche europee e i fondi pensione con un batter d’occhio”.

Tuttavia, anche lasciando perdere per un momento il fatto che il tasso di interesse magico non esiste, Varoufakis sottolinea che la “naturale tendenza del capitalismo alla stagnazione riflette anche il fallimento dei mercati monetari nel riuscire a concretizzare un processo di aggiustamento.

I sostenitori del libero mercato ritengono che tutti i prezzi si aggiustino magicamente, fino a quando non riflettono la scarsità relativa di un bene. Ma nella realtà ciò non accade.

Quando gli investitori apprendono che la Federal Reserve o la Bce stanno valutando l’idea di ritornare sui loro passi e di non alzare più i tassi di interesse, si preoccupano del fatto che una decisione del genere possa riflettere un outlook fosco relativo alla domanda nel suo complesso.

Di conseguenza, invece di aumentare i loro investimenti, li riducono. Invece di investire, si imbarcano in ulteriori operazioni di M&A (fusioni e acquisizioni), che rafforzano la capacità della loro tecnostruttura di fissare i prezzi, di abbassare i salari, e di spendere il cash a loro diasposizione acquistando le loro proprie azioni e per aumentare i bonus che essi stessi percepiscono.

Il risultato è che i risparmi in eccesso si accumulano e i prezzi non riescono a riflettere la scarsità relativa (dei beni) o, per essere più precisi, l’unica scarsità che i prezzi, i salari e i tassi di interesse finiscono per riflettere è la scarsità della domanda aggregata per i beni, il lavoro e i risparmi”.

Yanis Varoufakis conclude sottolineando che “ciò che è incredibile è quanto i sostenitori del libero mercato siano indifferenti ai fatti. Quando i loro dogmi si scontrano contro gli scogli della realtà, loro utilizzano a loro vantaggio l’epiteto ‘naturale’. Negli anni ’70, dissero che il tasso di disoccupazione sarebbe scomparso se l’inflazione avesse rallentato il passo. Quando poi negli anni ’80 il tasso di disoccupazione rimase ostinatamente alto nonostante la bassa inflazione, proclamarono che qualsiasi tasso di interesse avesse prevalso, avrebbe dovuto essere ‘naturale’.

“Allo stesso modo, i sostenitori del libero mercato attribuiscono il fallimento dell’inflazione all’arrivo, nonostante la crescita dei salari e il basso livello della disoccupazione, di un nuovo ‘naturale’ e normale tasso di inflazione. Con i loro , qualsiasi cosa osservino finisce per essere il risultato più naturale del più naturale di tutti i possibili sistemi economici”.

“Ma il capitalismo ha una sola tendenza naturale: stagnazione. Così come tutte le tendenze, è possibile che queste vengano superate con lo strumento degli stimoli. Uno è rappresentato da una esuberante finanziarizzazione, che produce una crescita eccezionale di medio termine a spese di un infarto a lungo termine. L’altro (stimolo) è un tonico più sostenibile iniettato e gestito da un meccanisco politico che si ricicla, così come avvenne nell’economia della Seconda Guerra Mondiale o successivamente, con il sistema di Bretton Woods. Ma in un momento in cui la politica è spezzata, così come la finanziarizzazione, il mondo non ha mai avuto tanto bisogno di una visione che vada oltre il capitalismo. E forse il più grande contributo di quell’automazione che al momento si aggiunge ai nostri timori di una stagnazione ispirerà una visione del genere”.