Un anno di Trump: eldorado sui mercati, ma multipli S&P 500 ora fanno paura
I numeri parlano chiaro, il bilancio sui mercati a un anno esatto dall’elezione di Donald Trump è ai limiti dell’euforico nonostante le difficoltà riscontrate quest’anno dal numero uno della Casa Bianca a implementare il proprio ambizioso programma elettorale. Dall’8 novembre 2016, giorno in cui gli americani sono andate alle urne con Trump che a sorpresa ha sconfitto Hilary Clinton, l’indice S&P 500 segna un balzo di oltre 21 punti percentuali, aggiornando per ben 26 volte quest’anno i livelli record. Ancora meglio hanno fatto il Nasdaq con un sonante +30% e il Dow Jones con un +28.5%. Performance da capogiro che fanno ancora più scalpore se si considerano le difficoltà avute in questi mesi da Trump e il mercato toro che negli Stati Uniti imperversa ormai da 8 anni e mezzo.
Guardando alle performance storiche nel primo anno di presidenza, a far meglio di Trump sono stati solo Bill Clinton, con lo S&P 500 salito del 33% nei dodici mesi dopo la sua seconda elezione, Barack Obama (+24% dopo la sua seconda elezione) e George Bush senior (+22%).
Sorpresa Ftse Mib: sonante +40%
Non è stato un anno magico solo per Wall Street. Guardando ai principali indici azionari, spicca il prepotente balzo di Piazza Affari che segna un rally di quasi il 40% negli ultimi 12 mesi, facendo decisamente meglio anche del Dax di Francoforte (+28%) e del Cac 40 parigino (+26%).
Performance molto positiva anche per i mercati emergenti con l’indice MSCI Emerging Markets salito del 25,7% nell’ultimo anno con l’importante sponda della contemporanea svalutazione del dollaro Usa.
Wall Street tra fondamentali solidi e test riforma fiscale
Tra le promesse elettorali che hanno maggiormente solleticato i mercati spicca certamente la riforma fiscale che nei prossimi mesi sarà al vaglio del Congresso. Il passaggio del taglio della corporate tax dal 35% al 20% è uno snodo fondamentale per mantenere alto l’umore delle Borse. Secondo Nadia Grant, responsabile azionario Usa di Columbia Threadneedle Investments, le probabilità che la riforma passi sono leggermente oltre il 50% e in questo caso “molte delle aziende che sono maggiormente focalizzate sul territorio nazionale – e che si sono comportate meglio immediatamente dopo le elezioni – potrebbero guidare il mercato. Ciò include banche domestiche, del settore industriale o secondario e piccole imprese che tendono a pagare livelli di tassazione più alti”. L’esperta di Columbia Threadneedle Investments si aspetta anche misure per il rimpatrio di capitali per tasse “intrappolate” all’estero che potrebbero portare indietro miliardi di dollari agli Stati Uniti. Nadia Grant ritiene comunque, a prescindere da queste misure, che i fondamentali del mercato azionario US sono robusti data la forte crescita degli utili aziendali nel 2017, destinata a continuare l’anno prossimo contemporaneamente alla crescita globale.
Tempo di abbandonare l’equity Usa?
Dopo 12 mesi qualche campanello di allarme inizia a suonare e per alcuni è arrivato il momento di abbandonare l’equity Usa. “A nostro parere – rimarca Kurt Feurman, AB Select US Equity Portfolio Manager di AllianceBernstein – non è ancora giunto il momento per guardare altrove. Un investitore europeo interessato ad esporsi all’economia e stelle e strisce può di fatto ancora contare su una condizione di mercato favorevole e su titoli in grado di generare valore”.
Ora l’indice S&P 500 scambia ad un multiplo di oltre 19 volte gli utili stimati al 2017, ovvero nella parte più elevata del suo range storico. Secondo Bloomberg, 10 strategist azionari americani su 18 hanno un prezzo obiettivo per l’S&P 500 a fine 2017 di 2.500 punti, ossia ben sotto i livelli attuali (2.590 punti la chiusura di ieri).