Notizie Indici e quotazioni Tonfo shock -300%, contratto WTI va sotto zero. Depositi stracolmi di petrolio, COVID manda in tilt stoccaggio Cushing

Tonfo shock -300%, contratto WTI va sotto zero. Depositi stracolmi di petrolio, COVID manda in tilt stoccaggio Cushing

21 Aprile 2020 09:26

Mercati e mondo intero sotto shock di fronte a un fenomeno senza precedenti, almeno per quanto riguarda i futures sul petrolio: per la prima volta nella storia, il valore di un contratto future sul crude – nel caso specifico, del contratto WTI con consegna a maggio, che scade ufficialmente oggi, martedì 21 aprile – è sceso al di sotto dello zero.

CUSHING, OK – JULY 30: The entrance to the city of Cushing announces that it’s the “Pipeline Crossroads of the World.” The areas around Cushing have several different native American tribes. Some Native American Tribes in Oklahoma are in favor of the Keystone XL pipeline, while others are expressing concerns about the pipeline’s impact on native lands. (Photo by Michael S. Williamson/The Washington Post via Getty Images

Ai tassi di interesse negativi del “New Normal” il mondo in qualche modo si è abituato. Il concetto dei prezzi del petrolio negativi è qualcosa, invece, con cui i trader, gli investitori, gli stessi consumatori devono ancora familiarizzare. Il concetto vede in teoria i produttori e i trader attivi nel mercato oil pagare i consumatori pur di sbarazzarsi del loro petrolio.

In questo caso, ci sono tuttavia delle precisazioni da fare. Il tonfo storico delle quotazioni del contratto WTI è avvenuto per un motivo tecnico: la scadenza imminente del contratto stesso, per l’appunto. E i sell off non si sono accaniti soltanto sui prezzi del contratto in questione; il contratto WTI di giugno è capitolato ieri di 4,60 dollari, ovvero di ben -18%, a $20,43 al barile.

Smobilizzi anche sul Brent di Londra, che ha limitato però le perdite a -5%, scendendo a $27 al barile. Niente, in paragone alle vendite che hanno azzannato il contratto WTI di maggio che, stando ai dati di Dow Jones Market Data, ha chiuso la sessione della vigilia a -$37,63 al barile, perdendo in una seduta 55,90 dollari, e facendo praticamente -306%.

Come fa notare qualche analista, quanto è accaduto ieri sul mercato dei futures può essere considerato l’opposto dello short squeeze, fenomeno più familiare agli investitori. In uno short squeeze, i trader che sono short su un asset temono di non riuscire a trovare più il bene fisico sottostante la commodity a cui i futures si riferiscono e, di conseguenza, ricoprono le proprie posizioni, così facendo innescando una corsa al rialzo dei prezzi. Quanto è accaduto ieri è stato esattamente il contrario: i trader con le posizioni long hanno temuto di non farcela a uscire dal contratto WTI a causa della difficoltà di trovare un sito dove parcheggiare il petrolio fisico.

Il problema che si è presentato ieri, insomma, ha riguardato lo stoccaggio del petrolio fisico nei depositi. D’altronde, i futures sono contratti che hanno come sottostante un bene fisico, il petrolio per l’appunto che, da qualche parte, deve essere immagazzinato, stoccato. Cosa succede se i depositi sono tutti pieni?

Nel caso del contratto WTI, il riferimento da fare è all’hub di consegna di Cushing, nello stato americano dell’Oklahoma. E’ questa la destinazione per lo stoccaggio del petrolio sottostante i futures scambiati sul Nymex di New York. E’ qui, insomma, che il petrolio fisico viene consegnato.

Ora, gli ultimi dati riportano un balzo storico delle scorte Usa nell’hub di Cushing: il New York Times cita i dati di Rystad Energy, secondo cui lo spazio rimasto a disposizione può contenere solo 21 milioni di barili di petrolio, praticamente meno di due giorni della produzione americana di crude.

La capacità di Cushing, pari a 80 milioni di barili di petrolio, è insomma al limite, tanto che diversi esperti ritengono che i depositi, già stracolmi di petrolio, avranno esaurito la capacità di stoccaggio già a maggio (a febbraio la quantità depositata non arrivava al 50% della capacità).

Tutta colpa del coronavirus e del lockdown che ne è seguito. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha già avvertito nel suo report mensile che la domanda di petrolio del mese di aprile potrebbe essere inferiore a quella dello stesso periodo del 2019 di ben 29 milioni di barili, al minimo dal 1995.

E con i depositi praticamente colmi, la domanda è: dove stoccare il petrolio? Non sorprende che ieri i produttori di petrolio siano arrivati al punto tale da essere disposti perfino a pagare i potenziali acquirenti pur di liberarsi dalla zavorra del loro bene fisico, vista la difficoltà a parcheggiarlo da qualche parte.

E l’hub di Cushing non è sicuramente l’eccezione che conferma la regola. Problemi di stoccaggio sono stati rilevati anche negli hub dei Caraibi e del Sud Africa, in Angola, Brasile e Nigeria. Depositi anche qui vicini al massimo della loro capacità, che potrebbe essere raggiunto entro l’arco di qualche giorno, visto che tutto il petrolio che doveva essere consegnato, ora le aziende in lockdown non lo vogliono più. Non ora, almeno, visto che le loro attività produttive ed economiche sono finite in quarantena con il COVID-19. L’offerta, insomma è troppa:

“L’offerta di petrolio sta minacciando di mettere sotto pressione l’attività di stoccaggio delle prossime settimane, con l’ondata di petrolio crude che non mostra alcun segnale di discesa – ha commentato Robert Yawger, numero uno del dipartimento di energia presso Mizuho Securities USA, in una nota pubblicata nella giornata di lunedì.

Secondo l’esperto, se i livelli di stoccaggio del crude continueranno a crescere ai ritmi attuali, le scorte Usa sfonderanno tutti i loro precedenti record nell’arco di due settimane, raggiungendo la capacità massima tra 8-9 settimane.

C’è da dire che, in alcuni casi – non nel mercato dei futures – i prezzi del petrolio erano diventati già negativi: alla metà di marzo, il Wyoming Asphalt Sour, un tipo di petrolio denso utilizzato per la produzione di asfalto, era stato venduto a un valore inferiore allo zero. Praticamente, i produttori hanno pagato gli acquirenti pur di liberarsi dei loro barili. E Bloomberg aveva già avvertito in un suo articolo che altri contratti sul petrolio avrebbero potuto  fare la stessa fine.

Alla metà di aprile l’Opec + ovvero l’alleanza a cui fanno capo sia i paesi produttori dell’Opec al seguito dell’Arabia Saudita, che quelli non Opec ‘capitanati’ dalla Russia, ha raggiunto un accordo storico volto a tagliare la produzione di 9,7 milioni di barili al giorno: il taglio si è confermato il più aggressivo della storia.

La riduzione dell’offerta prenderà il via il prossimo 1° maggio e proseguirà fino alla fine di giugno. L’intensità dei tagli diminuirà successivamente a -7,7 milioni di barili al giorno a partire da luglio fino alla fine del 2020, e a -5,8 milioni di barili al giorno a partire dal gennaio del 2021, fino all’aprile del 2022.

L’Opec + si riunirà il prossimo 10 giugno per capire se ci sia bisogno di un ulteriore intervento. E ora c’è qualcuno che riporta che la riunione potrebbe essere anche anticipata per far fronte a una tale situazione di emergenza.