Tensioni Usa-Cina sopprimono i mercati, nessuna certezza da discorso Powell a Jackson Hole
I mercati internazionali hanno sofferto nelle settimane centrali di agosto per le continue tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Dopo l’annuncio di Pechino dello scorso venerdì, relativo all’intenzione di aumentare i dazi su 75 miliardi di dollari di prodotti americani importati (gli aumenti scatteranno tra il 1° settembre e il 15 dicembre), l’amministrazione Usa di Donald Trump starebbe valutando di aumentare i dazi imposti su $250 miliardi di prodotti importati dagli Usa dal 25% al 30%. Non solo. Trump farà salire le tariffe anche su $300 miliardi di altri beni cinesi dal 10% al 15%. La guerra commerciale è stata protagonista indiscussa dei colloqui che si sono svolti tra i Sette big del mondo, in occasione del G7 di Biarritz in Francia: e nelle ultime ore Trump è andato oltre, minacciando di dichiarare la guerra commerciale contro la Cina una emergenza nazionale.
Lo scorso venerdì si è tenuto il simposio di Jackson Hole, la tradizionale riunione di fine estate dei banchieri centrali e gli esperti di politica monetaria del mondo. Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, non si è sbilanciato sulle prossime mosse di politica monetaria lasciando comunque intendere che è pronto ad intervenire in caso di rischi di rallentamento per l’economia domestica. Le attese del mercato per le parole di Powell erano altissime. Dopo la riduzione del costo del denaro di 25 punti base nell’ultima riunione dello scorso 31 luglio, le aspettative del mercato sono elevate, due tagli pieni da qui a fine 2019 e altri due nel 2020 secondo il consensus rilevato da Bloomberg. Le prossime decisioni della Fed terranno conto anche delle incertezze legate alla guerra commerciale che sembrano essere persistenti.
Occhio di riguardo anche all’Italia, dove l’attenzione del mercato rimane rivolta al fronte politico. Al termine delle consultazioni, il presidente Sergio Mattarella ha deciso di dare ai partiti fino a domani per cercare una nuova maggioranza formata da Partito Democratico e Movimento 5 Stelle che arrivi a fine legislatura come alternativa al ritorno alle urne. Notizia apprezzata dai mercati, sempre più convinti che la possibilità di nuove elezioni in autunno sia molto bassa.
In questo contesto i trader hanno apprezzato i certificati legati al Ftse Mib. Il più scambiato nell’ultima settimana con 97 contratti e circa 1,8 milioni di euro di controvalore è risultato il Turbo Short (Isin NL0013408669) con scadenza breve, prevista per il 20 settembre 2019. Il prodotto presenta una leva attorno a 13,3 volte in virtù di un livello strike a 22.500 punti e distanza dal Knock Out di circa il 7%. Sulla stessa scadenza e sempre in ottica ribassista ha raccolto volumi importanti il Turbo Short (Isin NL0013684103) con Strike 21.500 punti e leva arrivata fino intorno a quota 32,3 volte (distanza dal Knock Out del 2,3%). Il controvalore è di circa 416 mila euro, con 83 contratti. Su scadenze più lunghe (20 dicembre 2019) è stato invece premiato con 77 scambi e volumi complessivi per 260 mila euro il Turbo Long (Isin NL0013492176) caratterizzato da uno strike a 19.500 punti e leva di 13,6 volte (distanza dal Knock Out del 7,3%).
Le crescenti fluttuazioni delle Borse americane hanno invece esaltato le negoziazioni sul certificato Turbo Short (Isin NL0013684475) legato al Nasdaq 100. Il prodotto, con scadenza 18 dicembre 2019, ha un livello di Strike a 8.250 e di conseguenza negli ultimi giorni ha visto la leva posizionarsi intono a 25 volte. La distanza dal Knock Out è di circa il 3%. Ammonta a circa 411 mila euro il controvalore scambiato su questo prodotto, per un totale di 77 contratti.