Spettro risoluzione banche: per Ignazio Angeloni (Bce) un tabù da superare
Risoluzione: una parola spauracchio nel mondo delle banche. Eppure, secondo Ignazio Angeloni, esponente della Vigilanza della Bce, il ricorso all’istituto della risoluzione nei casi delle banche in crisi è un tabù da superare.Vale anche per Carige? Si chiede l’inserto L’economia del Corriere della Sera, nella prima pagina dell’edizione odierna.
C’è da dire che in Italia a essere poste in risoluzione bancaria sono state le quattro banche Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti. Era la fine del 2015, e il caso destò molto scalpore nell’opinione pubblica italiana.
Nel rispolverare il concetto di risoluzione bancaria, è bene accedere direttamente alla fonte, andando sul sito del Single Resolution Board. Il Single Resolution Board (SRB) è l’autorità centrale di risoluzione, interna all’Unione bancaria che, insieme alle Autorità di risoluzione nazionali (NRA) dei paesi membri, costituisce l’SRM (meccanismo di risoluzione).
L’SRB lavora strettamente a contatto con le Autorità di risoluzione nazionali (NRA), la Commissione europea, la Bce, l’Eba e le autorità nazionali competenti. La sua missione è assicurare una risoluzione ordinata delle banche che siano sul punto di fallire, con un impatto minimo sull’economia reale, il sistema finanziario, le finanze pubbliche degli Stati membri partecipanti e oltre.
Sul sito di Bankitalia si spiega che, “sottoporre una banca a risoluzione, significa avviare un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti – le autorità di risoluzione – che, attraverso l’utilizzo di tecniche e poteri offerti ora dalla BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), mira a evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento), a ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca e a liquidare le parti restanti. L’alternativa alla risoluzione è la liquidazione (rischio che corre Carige). In particolare, in Italia, continuerà a poter essere applicata la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo unico bancario, quale procedura speciale per le banche e gli altri intermediari finanziari, sostitutiva del fallimento applicabile alle imprese di diritto comune”.
Di norma, si legge ancora sul sito di Palazzo Koch, una banca può essere sottoposta a risoluzione nei seguenti casi:
- La banca è in dissesto o a rischio di dissesto (ad esempio, quando, a causa di perdite, l’intermediario abbia azzerato o ridotto in modo significativo il proprio capitale).
- Non si ritiene che misure alternative di natura privata (quali aumenti di capitale) o di vigilanza consentano di evitare in tempi ragionevoli il dissesto dell’intermediario.
- Sottoporre la banca alla liquidazione ordinaria non permetterebbe di salvaguardare la stabilità sistemica, di proteggere depositanti e clienti, di assicurare la continuità dei servizi finanziari essenziali e, quindi, la risoluzione è necessaria nell’interesse pubblico.
Ora (riferimento a Carige?) Angeloni mette in evidenza che in Europa questo sistema di risoluzione presenta fragilità che, alla fine, indeboliscono anche la vigilanza.
Risoluzione, Angeloni: paragone con Stati Uniti
Nel parlare del meccanismo di risoluzione, l’economista si riferisce nell’articolo dell’inserto L’economia del Corriere della Sera, all’accezione del termine in senso ampio: “comprendendo anche l’insolvenza ordinaria e la ristrutturazione o recupero della banca in difficoltà”. E ricordando che, negli Stati Uniti, “la materia è di competenza della Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), autorità federale che possiede tutti gli strumenti di intervento e si avvale del fondo di risoluzione a sua volta sostenuto dal Tesoro americano”.
La debolezza che Ignazio Angeloni identifica nel sistema europeo risiede nelle lacune che rendono difficile uno degli obiettivi della vigilanza europea: far uscire dal mercato le banche deboli. Questa linea di azione, scrive Angeloni, “non ha potuto dispiegarsi con sufficiente efficacia proprio per le carenze del meccanismo di risoluzione; di un meccanismo cioè che contentisse l’uscita fisiologica e non traumatica di parte del sistema di mercato. Le poche operazioni sono state difficili e contrastate. Alcune sono diventate casi politici di rilevanza nazionale. Altre sono state procrastinate; senza entrare nello specifico, basti notare che vi sono banche che soffrono ancora oggi degli stessi problemi già individuati negli stress test della Bce nel 2014″.
E comunque è indicativo anche solo il confronto con gli Stati Uniti, dove la Fidc “mette in risoluzione ogni anno decine di banche senza traumatizzare né il sistema bancario né quello politico”.
Angeloni ripropone il dilemma che si presenta spesso nell’intero sistema finanziario globale. Fino a che punto consentire che una banca in crisi continui ad andare avanti?
Non sarebbe stato meglio, si è detto spesso anche qui in Italia, in riferimento alle banche salvate negli States nel periodo buio della crisi finanziaria, se alcune di esse fossero state lasciate al loro destino e fatte fallire?
“Il criterio – sottolinea il funzionario della Vigilanza della Bce – dovrebbe sempre essere non quello di salvare banche fuori mercato, ma di favorire il rafforzamento del sistema“.
Tra i punti deboli del meccanismo di risoluzione eurpeo c’è quello che riguarda la stessa agenzia della Commissione europea creata ad hoc, il Single Resolution Board, per l’appunto, la cui operatività è limitata dal Single Resolution Fund, “fondo piccolo e solo da poco dotato di limitato accesso a risorse pubbliche.
Angeloni auspica in ogni caso un cambiamento che sia anche culturale, al di là dei problemi logistici e pratici. Ciò che spera di vedere è un “cambiamento necessario per vedere nell’uscita di alcune banche dal mercato, con le dovute cautele, non un dramma ma una manifestazione fisiologica del buon funzionamento del sistema”.