Popolare Bari: rischio salto nel buio dopo l’assemblea, nessuno vuole la banca come sposa
I soci della Popolare di Bari aspettano con ansia l’esito dell’assemblea di domenica chiamata ad approvare una maxi-perdita di 420 milioni e che probabilmente sancirà l’uscita di scena della famiglia Jacobini, proprietaria da sempre della maggiore banca del Sud. Non sono noti i nomi dei candidati per il nuovo corso della banca. L’organo di governo della banca pugliese ha difatti deciso di non rivelare l’elenco dei candidati che andranno a rinnovare i posti dei quattro consiglieri in scadenza (Modestino di Taranto, Francesco Viti, Luca Montrone, Francesco Pignataro) e a completare la casella della vicepresidenza (lasciata vuota dopo l’uscita di Giulio Sapelli), e quella che dovrebbe essere del nuovo presidente, vista la probabile uscita dell’attuale presidente Marco Jacobini.
In primo luogo, oltre a spiegare la maxi-perdita di 420 mln del 2018, i vertici della banca dovranno tentare di calmierare l’insofferenza dei piccoli soci che da anni non riescono a liquidare le azioni. Subito dopo l’assemblea bisognerà guardare al futuro della banca, che nei piani del governo dovrebbe fondersi con altre realtà del Sud al fine di agevolarsi dell’emendamento ‘Salva Bari’ al Decreto Crescita che prevede un’agevolazione fiscale volta a incentivare le aggregazioni bancarie nel Mezzogiorno. La Popolare di Bari è la principale beneficiaria. L’emendamento consente di trasformare le Dta (deferred tax asset, crediti fiscali differiti) in crediti d’imposta in caso di aggregazioni. Il tetto è stato fissato a 500 milioni di euro. I crediti d’imposta sono computabili ai fini del calcolo del Cet1, il principale parametro di solidità di una banca. L’agevolazione è destinata soltanto alle banche che al primo gennaio del 2019 abbiano sede in Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna.
In prima fila sulla questione Pop Bari c’è Bankitalia che spinge in generale le banche ad aggregazioni che portino a realtà più solide. La Popolare Bari è però molto, forse troppo, grande rispetto alle altre banche del Sud e si porta dietro le forti incertezze su conti e valore delle azioni. Difficile quindi convincere altre banche a fondersi e a fine 2020 la possibilità dell’aiuto delle Dta svanirà. Si parla quindi già di piani B nel caso non si riesca a concretizzare una fusione tra realtà del Sud che includa anche Bari.
Non solo Bari, movimenti per fusioni tra altre banche del Sud
Intanto da settimane si starebbero susseguendo contatti tra i vertici delle popolari del Sud per intavolare uno schema di aggregazioni in modo da sfruttare l’aiuto delle Dta. Secondo fonti finanziarie riportate da Il Sole 24 Ore, il tentativo più ambizioso è quello di una fusione a tre tra la Popolare del Lazio, la Popolare di Puglia e Basilicata e la Banca di Credito Popolare di Torre del Greco. Altro player in movimento è la Popolare Ragusa, accreditato di un Cet1 tra i più alti nel sistema ma che ancora non ha ceduto gli Npl, che può puntare a diventare polo di riferimento per le banche siciliane. Il cantiere delle aggregazioni è partito e presto coinvolgerà anche gli advisor finanziari. La fine del 2020 (salvo proroghe italiche) è ancora lontana, ma il mini-risiko del credito del Mezzogiorno è destinato a entrare nel vivo già alla fine dell’anno.