S&P si unisce al coro di dubbi dalle agenzie di rating sulla Finanziaria
Dopo Fitch e Moody’s è oggi Standard & Poor’s a esprimere un giudizio cauto sulla Finanziaria 2008 messa a punto dal governo Prodi. E se Moody’s e Fitch avevano espresso le loro perplessità per la mancanza di tagli alle spese, le considerazioni degli analisti di S&P vanno anche oltre, paventando il rischio di mancare il target di riduzione del rapporto deficit/Pil previsto per il 2010.
Da Moody’s avevano messo in luce il pericolo che nel lungo termine possa rivelarsi difficile affrontare il disavanzo di bilancio senza intervenire sulla spesa pubblica di natura strutturale. Fitch aveva invece definito la manovra “tiepida”, improntata a tenere i conti in ordine, ma non sufficiente a migliorarli.
“Il basso gradimento del governo nei sondaggi, unito alla mancanza di urgenza data al consolidamento fiscale e alla natura della coalizione di governo – spiegano oggi da S&P – rendono improbabile qualsiasi riforma strutturale della spesa nella legislatura in corso”. In assenza di significative riforme strutturali S&P ritiene così che il governo non riuscirà a centrare il target sul debito previsti per il 2010 (rapporto deficit/Pil inferiore al 100%).
Critiche soprattutto sulla gestione del cosiddetto tesoretto (pari a 11 miliardi di euro) destinato a tagli alle imposte societarie e immobiliari, e a un aumento della spesa per il welfare. Si tratta delle stesse motivazioni addotte non più tardi di due giorni fa da Fitch, secondo cui l’extragettito sarebbe stato da destinare interamente alla riduzione del debito. “Abbiamo avuto – si spiegava da Fitch – un processo di aggiustamento aggressivo nella Finanziaria scorsa, c’era molta pressione ma ora sembra che l’Italia sia in una situazione in cui il grado di ambizione sta scemando“.
S&P, Moody’s e Fitch hanno comunque lasciato invariati i rating sul debito sovrano italiano. Per Moody’s resta Aa2, per S&P rimane ad A+, mentre per Fitch si attesta ad AA-. S&P già nell’ottobre 2006 aveva però ridotto il rating per le scarse prospettive di un consolidamento fiscale.