Sotto il cielo di Atene la speculazione non demorde. Giornata di smentite, domani l’asta
L’euro scricchiola sempre di più all’ombra del Partenone. E’ ancora la Grecia a far tremare la debola impalcatura su cui si regge la moneta unica. Gira a mille la speculazione sotto il cielo di Atene. Mentre la stampa tedesca si schiera a favore dell’abbandono dell’euro da parte del paese più indebitato di Eurolandia, da Berlino il portavoce del governo, Steffen Seibert, torna a smentire tale ipotesi, spiegando che “non è mai stata e non è all’ordine del giorno”. Lo fa anche il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, rimandando alle parole del presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, che aveva nettamente escluso un’uscita della Grecia dall’euro e una ristrutturazione del suo debito parlando invece di un ulteriore aggiustamento del piano di aiuti che sarà discusso al prossimo Eurogruppo. Ad accendere la miccia del rumors è stata l’edizione online del Der Spiegel: venerdì annunciava la decisione di Atene di abbandonare la moneta unica, poi nel fine settimana le indiscrezioni hanno continuato a rincorrersi e oggi sono tornate al punto di partenza. “Un’informazione di questo genere non ha nulla a che fare con la realtà europea”, replica Seibert, ma il mercato non ci crede affatto.
Nonostante l’apertura di una indagine preliminare urgente sulle notizie pubblicate dal Der Spiegel da parte di Atene, il tabloid tedesco Bild rilancia: si schiera a favore dell’abbandono dell’euro da parte della Grecia con un editoriale dal titolo esplicativo Bye bye Grecia. “Atene, sentenzia in un editoriale il giornale più letto della Germania, non riesce a rimettere in piedi la propria economia. Il paese non ripagherà mai il suo enorme debito, prosegue il tabloid conservatore: “E questo aumenterà la pressione sui propri creditori, incluse le banche tedesche, per rinunciare a una parte dei debiti”. La parola magica, commenta la Bild, è ristrutturazione del debito: “Ma chi ci garantisce che dopo una simile misura la Grecia amministrerà le proprie finanze in modo più ragionevole?, si chiede l’autore dell’articolo, Hugo Mueller-Vogg. “L’euro è indispensabile per l’Europa, ma Eurolandia non dipende dalla Grecia”, sentenzia il giornale, convinto che “se la Grecia non vuole più l’euro, non si dovrebbe costringerla” a rimanere. “I contribuenti europei pagherebbero a caro prezzo un’eventuale uscita di Atene dalla moneta unica, ma una fine costosa sarebbe meglio di un pacchetto di salvataggio senza fine”. Domani Fondo monetario internazionale, Unione europea e Banca centrale europea faranno il punto: andranno in Grecia per verificare lo stato di attuazione del piano di austerità alla luce delle nuove indicazioni emerse dal recente vertice in Lussemburgo.
Secondo quanto scrivono i giornali greci, la nuova missione della troika passerà al setaccio la riduzione delle spese sanitarie e quella delle società pubbliche, la situazione nel settore di lavoro e chiederà l’accelerazione del piano delle privatizzazioni da cui il governo conta di incassare 50 miliardi che saranno destinati alla riduzione del debito e all’apertura delle professioni chiuse, una riforma rimasta finora sulla carta. Per Atene quella di domani sarà l’occasione per chiedere un ulteriore sconto ossia una riduzione dei tassi di interesse da pagare sul piano di salvataggio da 110 miliardi di euro. Dall’altra parte lo impone la situazione: nel 2012 la Grecia non riuscirà a reperire sul mercato i fondi necessari per finanziarsi. Lo rendono impossibile le condizioni di mercati. Anche oggi sono in rialzo i tassi dei titoli di Stato della Grecia, in un mercato che fiuta il rischio di una ristruttazione del debito di Atene imminente. Il rendimento dei titoli a dieci anni è salito di 12 punti base al 15,62% e quello del biennale ha raggiunto un picco del 25,73% per poi assestarsi al 25,54%.
Per scongiurare un default, il governo Papandreou ha bisogno di negoziare al più presto un nuovo piano di aiuti insieme a misure per evitare la temuta ristrutturazione del debito come una dilazione delle scadenze e riduzione dei tassi di interesse. Atene potrebbe ricevere altri 20-30 miliardi di euro in cambio di altri sacrifici fiscali e di una accelerazione del programma di privatizzazioni. Una strategist che preferisce mantenere l’anonimata azzarda che la soluzione per salvare Atene dal baratro potrebbe passare per entrambe le ipotesi in pista. Il punto fermo al momento è solo uno: l’ulteriore aggiustamento del piano di aiuti sarà discusso alla prossima riunione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin in calendario il 16-17 maggio. Ma domani il mercato emetterà la sua sentenza sui guai di Atene che potrebbero essere fatali non tanto alla Periferia d’Europa, ma alla locomotiva d’Europa, la Germania, paese più esposto alla Grecia. Lo farà con un’asta, che si prospetta ad alta tensione.
A surriscaldare la situazione ci ha pensato l’agenzia Standard & Poor’s che ha tagliato il rating sul debito sovrano della Grecia. Il giudizio sul debito a lungo termine è stato portato a B da BB- e quello a breve termine a C da B. Il taglio del giudizio – segnala l’agenzia – è motivato dalla crescente convinzione che Atene otterrà il prolungamento della scadenza del debito da 80 miliardi di euro, erogato attraverso la Commissione Europea, cui seguirà un’analoga richiesta ai creditori commerciali. Ma il punto non è questo. Secondo gli analisti dell’agenzia in un secondo tempo potrebbe essere chiesta ai creditori di Atene una ristrutturazione del debito pari al 50% o anche di più per riportare l’indebitamento a un livello sostenibile con il potenziale di crescita dell’economia greca. Un’ipotesi che apre la strada ad ulteriori tagli del rating. Con queste premesse toccherà Atene si confronterà comunque con il mercato: domani ha in calendario un collocamento di titoli a breve per 1,25 miliardi. “La revisione di Standard & Poor’s arriva in un momento non facile per la Grecia e di certo non aiuta: rafforza i dubbi che gli investitori nutrono sulla Grecia”, osserva Marco Stringa, economista di Deutsche Bank, secondo cui Atene avrà bisogno di tempo per implementare le riforme strutturali che si è prefissata.