Sondaggio Deutsche Bank: il Covid non è più nella Top 3 dei rischi percepiti da Wall Street. Ora svetta paura inflazione (LA TABELLA)
Il Covid non fa più parte della Top 3 dei fattori che spaventano di più Wall Street. E’ quanto emerge dall’ultimo sondaggio mensile condotto da Deutsche Bank, relativo al mese di ottobre, con cui sono stati interpellati 600 partecipanti al mercato.
Dal sondaggio emerge che i tre rischi maggiormente percepiti dalla borsa Usa sono:
- L’inflazione più alta delle attese insieme ai tassi dei bond.
- Il rischio che una banca centrale commetta un errore di politica monetaria.
- Una crescita solida dell’economia che non riesca a materializzarsi o che duri molto poco (dunque, una stagflazione e/o una recessione).
Il timore per l’arrivo di eventuali nuovi varianti del Covid-19 capitola così all’interno della classifica dal primo posto, che ha saldamente occupato nei tre mesi precedenti, al quarto posto.
Scendendo ancora di più nella classifica dei mal di testa che angustiano i mercati, al quinto posto c’è la geopolitica, seguita dal timore che gli stimoli fiscali che hanno sorretto le economie durante il periodo più tragico del Covid-19 possano essere ritirati troppo presto.
Altri elementi di preoccupazione sono rappresentati dalle politiche interne; dal peso dei debiti; dal rischio che (ri)scoppi una bolla hi-tech; dallo smorzarsi dell’efficacia dei vaccini; dal timore per le conseguenze strutturali di più lungo periodo dello shock Covid-19 e da una campagna di vaccinazioni e da una ripresa economica non bilanciate nel mondo.
Wall Street, alta la percentuale di chi teme correzione entro fine anno
Dal sondaggio di Deutsche Bank è emersa anche la paura di una correzione dell’azionario.
Alla domanda se ci si aspetti o meno una correzione prima della fine dell’anno, soltanto il 29% ha risposto “no”, mentre una solida maggioranza, pari al 63%, ha detto di credere in una correzione del 5-10% prima della fine dell’anno.
Detto questo, nessuna previsione catastrofica, visto che soltanto l’8% crede che la flessione sarà superiore al 10%.
Il fattore che viene considerato più determinante nello scatenare la correzione dei mercati azionari è rappresentato proprio dai tassi di interesse più alti.
Una soglia decisamente elevata degli interpellati, pari all’84%, ritiene a tal proposito che il prossimo movimento di 25 punti base dei tassi decennali Usa sarà al rialzo, a fronte di solo l’11% che crede che il trend degli stessi sarà al ribasso.
Soltanto il 5% ha detto di non avere alcuna idea di quella che sarà la direzione dei rendimenti.
Alla domanda su quale potrebbe essere il principale errore da parte delle tre banche centrali Federal Reserve, Bce e Bank of England, ovvero se la paura sia più di una politica monetaria che si riveli alla fine troppo hawkish (caratterizzata dunque dal tapering e da misure in generale di strette monetarie) o troppo dovish (ovvero imperniata ancora troppo sull’ampia liquidità fornita ai mercati), gli esperti di mercato hanno risposto che i rischi sono elevati in entrambi i casi, ma che la Bce e la Federal Reserve potrebbero rischiare di rimanere troppo dovish, mentre la Bank of England potrebbe commettere l’errore di essere troppo hawkish.
E di fatto, il sell off che nella giornata di ieri ha colpito il mercato dei titoli di stato europei è stato scatenato proprio dalle dichiarazioni, rilasciate nel fine settimana, dal governatore della Bank of England Andrew Bailey e dal suo collega Michael Saunders.
Gli smobilizzi hanno colpito soprattutto i Gilt di breve termine, a fronte del balzo dei rendimenti, che sono schizzati al record dall’inizio del 2020. A seguire sono capitolati anche i BTP e i Bund, scontando tra l’altro le dichiarazioni del governatore della banca centrale olandese – e soprattutto esponente del Consiglio direttivo della Bce – Klaas Knot, che ha apertamente manifestato il timore che l’inflazione dell’Eurozona possa alla fine rivelarsi più duratura di quanto atteso.
Tornando al Regno Unito, gli analisti prevedono un imminente rialzo dei tassi, soprattutto dopo che il numero uno della BOE ha detto di “essere ovviamente preoccupato per l’inflazione che viaggia al di sopra del target”. Il suo collega Saunders ha poi lanciato una vera e propria bomba sui mercati, affermando che i tassi di interesse potrebbero salire molto prima rispetto a quanto previsto.
La paura dell’inflazione è stata confermata con la domanda, da parte del team di Deutsche Bank, sul rischio stagflazione:
Ora, sebbene non ci sia stato un consensus unanime sulla definizione di stagflazione, i partecipanti al mercato hanno ammesso di ritenere che è più probabile che la stagflazione si verifichi che non, nel corso dei prossimi 12 mesi, in particolar modo nel Regno Unito.
Tra le domande poste, c’è stata anche quella che, molto probabilmente, non sta facendo dormire in particolar modo il numero uno della Federal Reserve Jerome Powell e la presidente della Bce, Christine Lagarde: ovvero se la crescita dell’inflazione sia “soprattutto transitoria” o “soprattutto permamente”.
In particolar modo Lagarde ha rassicurato ripetutamente i mercati, nelle ultime settimane, ribadendo la natura transitoria dell’impennata dei prezzi.
E qui forse c’è qualche segnale di speranza: il 62% degli interpellati da Deutsche Bank ha detto di credere che l’inflazione sia “soprattutto transitoria”, a fronte del 31% appena che ha detto di ritenere, invece, che l’inflazione sia “soprattutto permanente”.