Si allenta la tensione sulle Borse europee che, dopo la chiusura positiva della vigilia e il balzo di Tokyo (+2%) ai massimi da cinque mesi, aprono in territorio positivo. Aiuta l’Asia dove i listini dell’area hanno recuperato terreno in seguito alla correzione innescata lo scorso 11 novembre dai timori di un intervento deciso da parte della Cina per mettere sotto controllo un tasso di inflazione che galoppa ai livelli più alti da due anni. Aiutano le schiarite attese sulla sindrome irlandese.
Oggi è una giornata clou: i negoziati veri e propri per superare la crisi che mina al cuore la stabilità dell’Europa entrano nel vivo, con una missione che vede coinvolti Unione Europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea pronti ad agire tempestivamente. E’ nell’interesse di tutti salvare Dublino. Negli ultimi due giorni la macchina della diplomazia si è messa in moto: si sono andate definendo le modalità di un intervento a sostegno dell’ex Tigre Celtica, che però non ha ancora fatto richiesta degli aiuti.
“Da oggi le trattative si svolgeranno in modo intensivo per stabilizzare il sistema bancario”, ha annunciato il ministro delle Finanze dell’isola del Trifoglio, Brian Lenihan, aggiungendo: “Se deve essere intrapresa un’azione su base europea, verrà intrapresa”. E’ ormai chiaro come l’Europa sia pronta ad agire e ad attivare per la prima volta, se sarà necessario, il maxi piano di salvataggio da 750 miliardi di euro messo a punto nel maggio scorso da Ue ed Fmi. Il cui pilastro fondamentale è lo European financial stabilty facility (Efsf), il cosiddetto Fondo salva-Stati con sede a Lussemburgo e una dote di 440 miliardi di euro.
Con i 100 miliardi di euro, di cui si parla, il salvataggio non sarà semplice. In questo momento non è ancora noto come questi fondi saranno ripartiti: se saranno destinati al sistema bancario oppure se saranno versati anche nelle casse dello Stato irlandese appesantiti da un deficit del 32%, che sarebbe del 12% se non ci fosse stata l’emoraggia di fondi diretta a scongiurare la bancarotta degli istituti di credito. La sola Anglo-Irish Bank avrà bisogno di un prestito compreso tra i 29 e i 34 miliardi di euro, a seconda della gravità della situazione. Allied Irish necessiterà di ulteriori tre miliardi di euro entro fine anno, che si andranno ad aggiungere ai 7,4 miliardi già stimati come necessari per la ricapitalizzazione dell’istituto di credito.
Irish Nationwide Building Society avrà bisogno di altri 2,7 miliardi di euro per continuare ad operare. Bank of Ireland, in cui il governo controlla il 36%, è l’unica banca che non ha bisogno di una ulteriore iniezione di liquidità e il mese scorso è riuscita a piazzare sul mercato titoli per 750 milioni di euro. Dublino continua ad accumulare debiti nel tentativo di tamponare il boom di mutui in sofferenza. Questa emoraggia di prestiti che ha travolto le banche irlandesi ha aperto una voragine nei conti dello Stato. Con una deriva molto pericolosa: quello di nuova crisi sistemica che pesa sul settore delle banche.
I Paesi con la più alta esposizione sul settore bancario irlandese sono la Germania con 46 miliardi di dollari, la Gran Bretagna con 42,3 miliardi, gli Stati Uniti con 24,6, la Francia con 21,1 miliardi, l’Italia con 3,6 miliardi e la Spagna con 2,5 miliardi, secondo i dati della Bri alla fine del primo trimestre 2010. I sistemi finanziari di questi paesi europei insieme agli Stati Uniti sono esposti per oltre 400 miliardi di dollari su quello dell’Irlanda. Quanto basta per capire che siamo tutti seduti su una bomba ad orologeria.