Scaroni: energia, l’Europa parli con una sola voce (FT)
Europa può in modo credibile minacciare la Russia con sanzioni di energia? La risposta, almeno nel breve termine, è no. Così Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni, apre il suo editoriale pubblicato questa mattina sul Financial Times.
Oggi contiamo sulla Russia per circa un terzo del nostro gas in tutta l’Ue. Ma questa media maschera una dipendenza superiore al 50% per alcuni Paesi, tra cui Austria, Finlandia, Grecia, Polonia, Ungheria e Repubblica ceca. Non è facile portare avanti un rapporto sempre più antagonistico con la Russia se dipendiamo dal Paese per alimentare le nostre industrie e abitazioni. I responsabili della politica europea si stanno oggi rendendo conto che l’indipendenza energetica è l’indipendenza.
Questo è un concetto che la Cina ha fatto proprio. E’ stata riluttante a passare al gas importato, preferendo il carbone di produzione nazionale nonostante i livelli di inquinamento che ne derivano. Le foto degli abitanti di Pechino mascherati che si fanno strada attraverso lo smog sono la prova di come debbano essere ritenute cruciali le decisioni in materia di sicurezza dell’approvvigionamento e dei sacrifici dolorosi che queste possono richiedere.
Allora, chi in Europa ha preso la decisione di dipendere dalla Russia per la nostra linfa vitale? La risposta è che nessuno lo ha fatto. L’Europa non ha scelto una politica energetica sulla base dell’ottimizzazione della sicurezza dell’approvvigionamento, competitività e impatto ambientale. Abbiamo invece un patchwork di idee diverse e spesso incompatibili, nate dall’immaginario di commissari dell’Ue focalizzati sulle questioni interne e da singoli Stati membri.
Alcuni esempi. Il taglio delle emissioni previsto all’interno del programma 20-20-20 al 2020? Ciò significa meno carbone e più gas. Non ci piace il nucleare? Ancora più gas. Non vogliamo interconnettere le reti di gas dei Paesi europei? Più contratti take or pay a lungo termine. Non vogliamo far nostro lo shale gas? Più gas dalla Russia. Non ci piace la Russia? In tal caso, probabilmente vale la pena ripensare le politiche 1-4. Ma nessuno ha tratto le somme delle conseguenze delle nostre idee per imboccare, se necessario, una strada diversa.
Tutto questo è il risultato di un serio problema di governance in Europa. Oggi le decisioni che riguardano la politica energetica dell’Unione europea sono divise tra almeno cinque commissari, energia, industria, politica estera, ambiente e concorrenza. E il capo della commissione non ha il potere di sintetizzare una politica coerente. Nel frattempo, i diversi obiettivi perseguiti dai singoli Stati membri aggiungono un ulteriore livello di complessità. Questo non è un buon modo per prendere decisioni importanti, in particolare nel settore dell’energia, dove le politiche richiedono un trade-off tra sicurezza dell’approvvigionamento, costi e ambiente e ci vuole molto tempo per cambiare direzione.
Se l’Unione europea vuole davvero essere indipendente, deve lanciare un programma a medio termine fatto di regole favorevoli allo shale gas, aumento delle importazioni alternative, incremento delle interconnessioni tra gli Stati membri, efficienza energetica, energie rinnovabili razionali, più nucleare, forse anche di più carbone. Ciò avrà conseguenze in termini di costi, l’occupazione e l’ambiente.
Ma qualunque sia la strada che sceglieremo, dobbiamo assicurarci che qualcuno stia guidando l’auto. Se davvero vogliamo energia sicura, competitiva e pulita, abbiamo bisogno di mettere qualcuno a capo del dossier. Un commissario senior per l’energia, che siede sopra gli altri quattro per qualsiasi decisione all’interno dei rispettivi portafogli che riguardi la politica energetica e che quindi abbia il potere di prendere le difficili decisioni politiche e accettare i compromessi che l’energia richiede. Questo commissario senior avrebbe anche bisogno dell’autorità di definire quali decisioni sono di competenza dell’Ue e quali possono essere lasciate ai singoli Stati membri.
Questo è un compito arduo per una organizzazione frammentata e diversificata come l’Unione europea. Ma, come i recenti avvenimenti hanno dimostrato, è anche essenziale. Ci vorranno 5-10 anni per trasformare la nostra politica energetica, quindi è imperativo che questa volta l’obiettivo sia centrato.