Rischiare il 100% per guadagnare il 100%: Pimco e altri fondi scommettono su asset Nationwide e vincono
Hanno rischiato il 100% e hanno riportato a casa guadagni del 100%. Sono fondi del calibro di Pimco e BlueBay Asset Management e investitori come Mark Holman, AD della londinese TwentyFour Asset Management, che hanno deciso di puntare su alcuni strumenti finanziari emessi dal gruppo londinese Nationwide.
Tali strumenti hanno battuto con la loro performance quella di tutti i principali titoli emessi in Europa e negli Usa, stando ai dati compilati da Bloomberg.
Basti pensare che altri strumenti caratterizzati da un grado simile di rischio emessi da banche hanno garantito ritorni pari ad appena 1/3 dei profitti che questi asset di Nationwide sono stati capaci di assicurare.
Gli strumenti in questione sono titoli che Nationwide Building Society ha venduto nel novembre del 2013: precisamente, “core capital deferred shares” (CCDS) che, all’epoca dell’emissione, ovvero quattro anni fa, avevano tutti i requisiti per essere snobbati.
La Bce aveva avvertito infatti qualche mese prima che la debolezza dell’economia avrebbe potuto zavorrare la qualità degli asset di diversi istituti di credito, con “conseguenze sistemiche”. Il Regno Unito arrancava ancora nella strada della ripresa e la banca britannica Co-Operative Bank era alle prese con un buco del valore di 1,5 miliardi di sterline.
Eppure Nationwide si imbarcava in un’impresa del genere, emettendo tali titoli per un valore complessivo di 550 milioni di sterline. Titoli che presentavano le caratteristiche sia delle azioni che delle obbligazioni, concepiti per raccogliere capitali al posto delle normali emissioni azionarie, visto che Nationwide, di proprietà dei consumatori invece che degli investitori, non può emettere azioni.
Il risultato è che la scorsa settimana Nationwide ha venduto altri core capital deferred shares per un valore di 500 milioni di sterline. Stavolta la differenza è che gli investitori le hanno acquistate a quasi il 160% del loro valore originale.
I CCDS “rappresentano una forma di capitale di Common Equity Tier 1”, informava Nationwide al momento della loro emissione quattro anni fa, e assicurano un ritorno di ben il 10,25%.
Il loro funzionamento è simile a quello delle azioni, ma i diritti che conferiscono sono decisamente inferiori: intanto, conferiscono un solo voto all’investitore a prescindere da quanti sono; inoltre, in caso di fallimento della società, gli investitori di CCDS rischiano di perdere l’intero ammontare dei loro investimenti.
Ciò significa che, nel caso in cui si verificasse un collasso di Nationwide, l’investitore dovrebbe mettersi in fondo alla fila dei creditori prima di capire se possa alla fine ricevere qualcosa anche lui. Esiste anche una limitazione alla partecipazione ai dividendi, in quanto Nationwide ha deciso nel 2013 che gli investitori potranno ricevere dividendi per un valore massimo pari al 15% del prezzo di emissione degli stessi CCDS.
Quando il ceo di TwentyFour Asset Management Mark Holman decise di puntare sul titolo in questione, la banca gli comunicò chiaramente che in qualsiasi momento avrebbe potuto tagliare il dividendo, e che, in caso di fallimento, avrebbe rischiato di non vedersi più restituito il capitale. Ma Holman, così come Pimco, disse di sì: e alla fine ha portato a casa un guadagno di quasi il 100%.
Guardando in avanti, James Macdonald, analista di BluBay a Londra, sottolinea in un articolo di Bloomberg che i prezzi dei CCDS potrebbero arrivare a balzare anche fino al 200% del loro valore originale (quello che si riferisce alla prima emissione, avvenuta nel 2013), nel caso in cui la banca decidesse di alzare l’ammontare dei pagamenti che distribuisce ai detentori dei titoli, ovvero “l’equivalente di dividendi o gli interessi”.
Tale ammontare potrebbe salire a quasi il 16% ma potrebbe anche scendere, a seconda della performance di Nationwirde. In ogni caso, visto “che tali strumenti sono perpetui, l’unico modo che ha un investitore per percepire i guadagni sui prezzi è venderli a un altro money manager“.