Il petrolio infrange quota 100 $ tra tensioni geopolitiche e speculazione
Quanto i primi pionieri azzardarono poco meno di tre anni fa previsioni di sfondamento di quota 100 dollari, ai più apparve improbabile un ulteriore super-ciclo rialzista del petrolio fino ad arrivare a numeri a tre cifre. L’incipit del 2008 ha riservato invece l’atteso record “nominale” (quello “reale”, secondo i calcoli dell’Aie rislae al 1980 a quota 101,70 $, ndr) delle quotazioni del greggio a New York a coronamento di altri dodici mesi di ascesa per l’oro nero che ora vale oltre il 57% in più rispetto a un anno fa.
Una corsa al rialzo inevitabile visto il mix di fattori di tensione che stanno contribuendo a mantenere alto il livello di allerta a partire dall’instabilità geopolitica nell’area mediorientale a cui si è aggiunto il peggioramento della situazione interna alla Nigeria che è il primo produttore africano di petrolio. Crescono pertanto i timori che l’Opec non potrà essere in grado di sopperire al mancato apporto della produzione del paese africano e quindi non soddisfare la sua quota di domanda globale di greggio entro il 2024. A peggiorare il contesto internazionale si sono aggiunti i problemi climatici che hanno portato alla chiusura di alcuni porti del Messico da cui il petrolio viene esportato a causa delle cattive condizioni del tempo. I mercati ora attendono con fiato sospeso il dato in arrivo oggi pomeriggio sulle scorte settimanali di petrolio che dovrebbe confermare un calo di 3,15 mln di barili rispetto alla settimana precedente.
Una corsa al rialzo inevitabile visto il mix di fattori di tensione che stanno contribuendo a mantenere alto il livello di allerta a partire dall’instabilità geopolitica nell’area mediorientale a cui si è aggiunto il peggioramento della situazione interna alla Nigeria che è il primo produttore africano di petrolio. Crescono pertanto i timori che l’Opec non potrà essere in grado di sopperire al mancato apporto della produzione del paese africano e quindi non soddisfare la sua quota di domanda globale di greggio entro il 2024. A peggiorare il contesto internazionale si sono aggiunti i problemi climatici che hanno portato alla chiusura di alcuni porti del Messico da cui il petrolio viene esportato a causa delle cattive condizioni del tempo. I mercati ora attendono con fiato sospeso il dato in arrivo oggi pomeriggio sulle scorte settimanali di petrolio che dovrebbe confermare un calo di 3,15 mln di barili rispetto alla settimana precedente.
Situazione critica che però non dovrebbe portare gli Stati Uniti a misure di natura straordinaria. Gli Usa non intendono infatti utilizzare le riserve strategiche. “Il presidente Bush – ha rimarcato ieri il portavoce della Casa Bianca, Dana Perino – non utilizzerà le riserve strategiche, perché la manovra non influenzerebbe di molto i prezzi”. Secondo l’Unione Petrolifera a pesare sulle quotazioni c’è anche il fattore speculazione: “Solo negli ultimi anni gli hedge fund avrebbero accumulato più di 200 miliardi di dollari in futures petroliferi”, ha rimarcato Pasquale De Vita, presidente dell’UP. Un surriscaldamento dell’Oro nero che preoccupa a livello planetario con inevitabili ripercussioni oltre che sui prezzi di un pieno di benzina e delle bollette anche sulle pressioni inflazionistiche se i prezzi del petrolio si dovessero mantenere su questi livelli. Per l’Italia Nomisma parla di una possibile ricaduta sull’inflazione pari a 3 punti percentuali, una possibile Caporetto su sistema produttivo e consumi. Ad attenuare in parte gli effetti del caro petrolio per i consumatori di Eurolandia c’è però il supereuro che viaggiando quasi a quota 1,5 dollari ammortizza in buona parte i rialzi del greggio.