Petrolio: il dramma del Giappone spinge giù i prezzi. Gli esperti ci vanno cauti
Sono le preoccupazioni per la tenuta dell’economia giapponese, la terza mondiale, dopo il terribile sisma dell’11 marzo a tenere in pugno le quotazioni del petrolio. Questa mattina sui mercati asiatici il Brent del mare del Nord è quotato circa 112,06 dollari il barile, con un calo di 1,78 dollari rispetto a venerdì scorso. In discesa anche le quotazioni del Wti a 99,82 dollari (-1,34 dollari sull’ultima chiusura). Ma è troppo presto per tirare le somme. Quel che è certo è che il terremoto in Giappone rischia di indebolire la domanda del terzo Paese maggior consumatore mondiale, mentre in Europa si moltiplicano gli interrogativi sulla convenienza di votarsi o meno al nucleare con la crisi libica che divide la comunità internazionale e che se dovesse prolungarsi più del previsto potrebbe far saltare i nervi al mercato del greggio.
L’Agenzia giapponese per la sicurezza nucleare ha escluso un incidente tipo quello di Cernobyl nella centrale nucleare di Fukushima. “Non c’è assolutamente alcuna possibilità di una Cernobyl”, ha affermato il ministro di Stato Koichiro Genba riferendo ai membri del partito di governo l’opinione dell’Agenzia. Tre reattori della centrale di Fukushima, 240 chilometri a nord di Tokyo, sono stati danneggiati dal terremoto di venerdì scorso. Eppure è presto per poter tracciare un reale quadro della situazione. I danni del terremoto e dello tsunami che ha devastato il Giappone Nord-orientale potrebbero salire fino a quota 10.000 miliardi, ossia costare qualcosa come tre punti percentuali sulla crescita di quest’anno del prodotto interno lordo, con l’impatto maggiore concentrato nel trimestre aprile-giugno, secondo le stime degli economisti. Tuttavia, dicono gli analisti, gli sforzi di ricostruzione sono suscettibili di stimolare la crescita dalla seconda metà dell’anno, e questo dovrebbe contribuire a far salire il Pil nel 2012 oltre le previsioni attuali. Con le autorità che stanno ancora cercando di scoprire l’entità del danno e che lottano per controllare il surriscaldamento dei reattori nucleari – la cui fusione potrebbe peggiorare incommensurabilmente la situazione – gli economisti riconoscono che le proiezioni in questa fase sono stime approssimative che potrebbe cambiare non appena i dettagli diventeranno più chiari.
“Due giorni dopo la prima scossa, il numero delle vittime è ancora sconosciuto , tanto da farci chiedere se la stima dell’entità dei danni fisici e finanziari è o meno rilevante, a questo punto”, ha detto Tohru Sasaki strategist di JP Morgan FX. Tuttavia le banche stanno cercando di fare proprio questo, utilizzando un piccolo ma altamente distruttivo terremoto del 1995 a Kobe come parametro di riferimento. L’economista di Citigroup Kiichi Murashima ha stimato i danni totali a 5.000 miliardi di yen, con i danni alle abitazioni che da soli interessano svariati migliaia di miliardi di yen. Masaaki Kanno, della Jp Morgan ha detto in una nota di ricerca che il terremoto di Kobe – che era meno potente ma concentrato in un’area più affollata ed economicamente critica – ha causato 9.900 miliardi di danni. Nel caso attuale, data che una larga parte del nord-est è stata quasi cancellata dallo tsunami, i danni dovrebbero essere ancora più alti. Inoltre, ha aggiunto, ciò che è preoccupante è che le attività economiche in altre regioni sono già state colpiti dal terremoto di venerdì, a causa delle interruzioni di erogazione nei più importanti centri produttori e dei danni alle centrali nucleari che si tradurranno in blackout a scacchiera nel centro del Paese per settimane almeno.
Una situazione che rischia di farsi sentire, non poco, sulla voce petrolio già messa a dura prova in questo periodo dalla guerra civile libica e dai disordini del Nord Africa. L’Opec ha già fatto qualche conto: secondo l’organizzazione le riserve mondiali di greggio potrebbero diminuire nei prossimi tre mesi a causa dello scarso utilizzo di alcuni giacimenti, pertanto è necessario compensare il calo di produzione che si è verificato in seguito alle rivolte in Libia. Per l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), le esportazioni di petrolio dal Paese arabo sono calate ben sotto i 500.000 barili al giorno. L’Opec è arrivata così a stimare che quest’anno i Paesi membri dovranno produrre 29,8 milioni di barili di greggio al giorno, ossia 500.000 barili al giorno in più rispetto all’anno scorso, mentre i Paesi produttori che non aderiscono al cartello petrolifero dovrebbero incrementare la produzione giornaliera di 520.000 barili, a 52,79 milioni di barili al giorno. La domanda mondiale dell’oro nero dovrebbe crescere di 1,4 milioni di barili al giorno nel 2011 a 87,8 milioni, spiega l’Organizzazione.
“Nonostante la crisi di questi ultimi mesi, l’economia mondiale ha proseguito sulla strada della ripresa, anche se restano diversi fattori che potrebbero rallentare la crescita. Fra questi, un rialzo dei prezzi del petrolio per un periodo prolungato di tempo”, avvertono da Vienna. Ma non tutti la pensano così. Per Michael Widmer, strategist di Merrill Lynch la neonata ripresa dell’economia mondiale potrebbe soffocare nella culla se il petrolio dovessere restare per un prolungato periodo di tempo a quota 115 dollari al barile. Proprio la guerra civile in Libia ha fatto scaldare le quotazioni del prezzo del petrolio nelle ultime settimane. E la catastrofe giapponese rischia di surriscaldare ancora di più una situazione già critica. “Il premio geopolitico che i recenti eventi in Nord Africa e Medio Oriente hanno aggiunto al prezzo del greggio e la domanda molto forte cinese e americana ci hanno portato a rivedere al rialzo lo scenario sul prezzo del petrolio per il 2011 da 90 dollari al barile a 98 dollari al barile”, segnalano questa mattina gli analisti di Cheuvreux in un report fresco di stampa. “In questo scenario, abbiamo assunto che la crisi della Libia si possa risolvere nell’arco delle prossime settimane, che l’Opec possa aumentare la produzione per coprire quei volumi di produzione persi in Libia e che non ci sarà un contagio con altri Paesi produttori”, avverte il broker.
“Se invece la crisi libica dovesse protrarsi più a lungo del previsto, questo scenario dovrebbe necessariamente essere rivisto dal momento che molto probabilmente il rischio di avere pozzi danneggiati sarebbe maggiore”, avvertono. Questo cosa significa? “Se il prezzo del petrolio dovesse in media quotare 103 dollari al barile, questo scenario implicherebbe quotazioni a 110 dollari al barile a marzo, 100 dollari ad aprile-maggio e 95 dollari a giugno 2011”, rispondono gli esperti della banca francese. “Le nostre previsioni per la seconda metà del 2011 e per il 2012 per quanto riguarda il Brent sono state portate a 95 dollari al barile dal momento che, anche prima del giungere della crisi libica, domanda e offerta sostenevano questi livelli di prezzi”. Nessuno oggi può dire come si evolverà la situazione in Libia. In un’intervista al Financial Times, il capo dei Consiglio Nazionale Libico ha avvertito le potenze occidentali tiepide nell’aiuto all’opposizione che verrà negato loro l’accesso al petrolio della Libia se la rivolta anti-Gheddafi dovesse prevalere.
“Ogni governo nel dopo-Gheddafi – ha detto Mustafa Abdel Jalil – aggiusterà le sue politiche petrolifere a seconda delle posizioni prese dai vari paesi nei confronti della Libia in questi momenti difficili”. La minaccia di Jalil sembra essere diretta in particolare verso paesi come Russia e Cina e altre nazioni riluttanti finora ad appoggiare gli appelli dei ribelli per una no-fly zone sulla Libia. Il leader libico Muammar Gheddafi dal canto suo ha invitato aziende cinesi, russe e indiane a recarsi in Libia per sfruttare il petrolio locale, dopo che le maggiori compagnie del mondo hanno lasciato il paese in preda a gravi sconvolgimenti. L’ultimo carico di petrolio ad aver lasciato la regione petrolifera della Libia risale al 19 febbraio e secondo le ultime notizie la