Petrochina, l’esordio record nel mercato delle meraviglie
Più bolla di così si esplode! In questa maniera verrebbe da commentare il successo dell’esordio alle contrattazioni del titolo Petrochina alla Borsa di Shanghai, dopo l’Ipo che per la prima volta ha reso disponibili le azioni della compagnia petrolifera cinese al pubblico. Lo stratosferico +163% ha ben poco di normale anche se a passeggiare per i floor di Shenzen e di Shanghai si potrebbe facilmente perdere il senso delle dimensioni. L’indice Shanghai composite è salito di oltre 100 punti percentuali da inizio 2007 mentre la performance a tre anni si aggira ben al di sopra del 300%.
Se l’ex-Celeste Impero appare oggi come la Mecca dell’economia e della finanza mondiale e uno dei nuovi motori in grado di sostenere la crescita globale al posto degli ingolfati Stati Uniti, a cifre simili è lecito domandarsi se i mercati possano crescere all’infinito. Se lo è chiesto qualche settimana orsono Warren Buffett, creatore del fondo Berkshire Hathaway, che ha disinvestito proprio dalle azioni della compagnia petrolifera cinese dopo aver visto moltiplicarsi per 8 volte quanto investito. L’oracolo di Omaha, in un recente viaggio in Cina ha espresso con chiarezza i propri dubbi: “Gli investitori dovrebbero essere cauti quando vedono i prezzi delle azioni salire”.
E in Cina i prezzi dei titoli azionari non stanno salendo, stanno volando. Tornando a Petrochina, il +163% fatto segnare nel primo giorno di quotazioni ha portato la capitalizzazione complessiva della compagnia petrolifera controllata dallo Stato a 1.000 miliardi di dollari. Per fare un confronto Exxon Mobil ha una capitalizzazione inferiore ai 500 miliardi di dollari, ChevronTexaco non raggiunge neanche i 200 e al confronto Eni quasi scompare con i suoi 98 miliardi. Ancora più significativa è la differenza sui multipli. Petrochina è arrivata a scambiare a un valore pari a 55 volte gli utili contro gli appena 12,8 di ExxonMobil, i 13 di British Petroleum e gli 11 di ChevronTexaco. Solo pochi titoli del Nasdaq Composite raggiungono un rapporto price/earnings così elevato.
Eppure, come si diceva, a passeggiare per la Piazza finanziaria di Shanghai si perde il senso delle dimensioni visto che è tutto il mercato ad avere un rapporto prezzo/utili elevato. Per lo Shanghai Composite index ci si aggira nei dintorni di quota 55. Per fare un confronto, il Dow Jones Industrial ha un price/earnings atteso poco sopra 15, il Russel 2000 è a 26, il Nasdaq Composite a 28,5 circa. Per trovare un livello di rapporto prezzo/utili simile bisogna spostarsi in Giappone, dove il Nikkei si attesta a 41. Oppure bisogna andare indietro nel tempo, a cavallo tra il 1999-2000, quando il price/earnings ratio dell’indice Shanghai composite toccò un picco sopra 60 nel momento in cui l’indice si aggirava poco sopra i 2.000 punti. Dopo di allora, la lunga discesa si è conclusa solo nel 2005 con il benchmark sostanzialmente dimezzato in valore e un p/e sotto quota 20. Certo, non era ancora l’arrembante economia cinese e asiatica di oggi e sicuramente la crescita degli utili delle compagnie locali ha tenuto sufficientemente bene il passo delle quotazioni, tuttavia la prudenza in una situazione simile non guasta.
Appaiono sempre meno i dubbi sulla presenza di una bolla speculativa sul mercato cinese, lo sa anche il primo ministro Wen Jiabao il quale ha ribadito la volontà del governo di fare tutto quanto necessario per prevenire lo scoppio di eventuali bolle finanziarie. Insomma, se il mercato e l’economia non rallenteranno la loro corsa da soli, potrebbero ottenere questo risultato gli strumenti di politica monetaria. In entrambi i casi il mercato potrebbe scontare, come finora non appare aver fatto, un ridimensionamento di utili e prospettive.