Oggi voto a Westminster, May verso nuova Caporetto? In pochi credono a garanzie vincolanti Ue
Westminster al centro dei riflettori di tutto il mondo: oggi il Parlamento britannico si riunisce per esprimersi nuovamente sull’accordo che la premier Theresa May ha raggiunto con Bruxelles lo scorso novembre. Accordo di ritiro, Withdrawal Agreement, che stabilisce le condizioni del divorzio del Regno Unito dall’Unione europea.
Un divorzio che passerà sicuramente alla storia, per essere apparso e apparire tuttora quasi come una Mission Impossible. La differenza rispetto alla cocente sconfitta sofferta da May lo scorso 15 gennaio -quando si è parlato addirittura di Brextinct, ovvero di estinzione della Brexit – giorno in cui Westminster ha letteralmente affossato la sua proposta, con una bocciatura storica, c’è. O, almeno, sembra esserci.
Nella giornata di ieri, la premier May è riuscita finalmente a ottenere dall’Ue quelle garanzie vincolanti sulla durata del backstop sul confine irlandese che auspicava da tempo.
May si è recata a Strasburgo, all’Europarlamento, dove ha incontrato il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Alle 22 circa locali, l’annuncio del vicepremier UK di fatto David Lidington, che ha parlato di trattative che hanno portato a “cambiamenti legalmente vincolanti (sul backstop) che rafforzano e migliorano” l’accordo di divorzio.
La matassa Brexit sarà finalmente sbrogliata? In realtà, a leggere alcuni articoli della stampa britannica, emerge che l’ennesima bocciatura alla proposta, seppur migliorata, di May, rimane un pericolo.
Dall’opposizione arriva l’invito del leader laburista Jeremy Corbyn ad affossare di nuovo l’accordo, visto che l’intesa raggiunta la scorsa notte con la Commissione europea non presenterebbe, a suo avviso, nulla di quei cambiamenti che Theresa May aveva promesso al Parlamento.
Idem Keir Starmer, responsabile della Brexit per il partito laburista, che rilascia diverse interviste in cui afferma che nulla è davvero cambiato.
The Prime Minister’s negotiations have failed. Last night’s agreement with the European Commission does not contain anything approaching the changes Theresa May promised Parliament, and whipped her MPs to vote for.
— Jeremy Corbyn (@jeremycorbyn) March 12, 2019
Quelle garanzie vincolanti che sarebbero state assicurate da Bruxelles agli UK, riguardo alla durata del backstop sul confine irlandese, sarebbero insomma una farsa?
Così Starmer: “Se si legge questo documento (relativo all’intesa annunciata ieri tra May e Juncker), viene da dire: “Guardate che non è cambiato proprio niente”. Secondo il laburista, i cambiamenti che la premier ritiene di aver ottenuto altro non sono che disposizioni già contenute nel Withdrawal Agreement.
“The prime minister has refused to change her red lines at all.”
Labour’s @Keir_Starmer says the PM’s failed to consider “anything the opposition has said” and they’ve been given “basically the same” #WithdrawalAgreement.
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— Sky News Politics (@SkyNewsPolitics) March 12, 2019
Il Guardian fa il punto della situazione, in attesa del voto a Westminster. Intanto, viene ricordato che, lo scorso 15 gennaio, furono ben 118 i Tories, dunque i membri dello stesso partito di Theresa May, a votare contro la proposta di divorzio.
Ora, molti di loro, preoccupati per il rischio che la Brexit venga ‘rubata’ dalla campagna a sostegno di un secondo referendum, appaiono più flessibili a individuare ragioni sufficienti per dare il loro appoggio alla premier.
Tuttavia, sembra che non ci sia tuttora alcun osservatore di Westminster ad aver cambiato idea sull’esito del voto. May perderà lo stesso, al massimo la perdita sarà molto meno cocente rispetto a quei 230 voti contro dello scorso 15 gennaio.
Se la premier perderà di nuovo, il calendario procederà come previsto, ovvero la palla passerà al Parlamento, che voterà già domani sull’opzione di uscire dall’Ue il prossimo 29 marzo anche in assenza di un deal, dunque sull’opzione no-deal Brexit.
Dopodomani – si prevede che la prospettiva di una uscita caotica dall’Ue verrà bocciata – Westminster si riunirebbe poi ancora per votare su una possibile estensione dell’Articolo 50.
Una cosa è chiara: la situazione caotica della Brexit sta rinfocolando le speranze di un secondo refederendum sulla Brexit. Settimane fa alcune indiscrezioni hanno fatto riferimento perfino alla preferenza di Bruxelles – poco propensa a posticipare la data effettiva della Brexit di tre mesi appena, a decorrere dal prossimo 29 marzo, probabilmente anche in vista del cruciale appuntamento delle elezioni europee, di sostituire il periodo di transizione di 21 mesi, con una proroga che rimanderebbe il divorzio direttamente al 2021.
Garanzie backstop irlandese: Westminster ci crede?
Ciò che ha reso più faticoso il lavoro di May, è stata sempre la clausola del backstop sul confine nordirlandese.
Per backstop si fa riferimento a una”rete di protezione”, in particolare a una soluzione che verrebbe adottata per garantire che il confine tra l’Irlanda del Nord (che fa parte del Regno Unito), e la Repubblica dell’Irlanda rimanesse aperto anche nel caso in cui l’accordo sulla Brexit saltasse. L’intento è quello di continuare a rispettare gli accordi del Venerdì Santo del 1998, con cui venne posta la parola fine alla sanguinosa guerra civile tra i protestanti favorevoli al dominio della corona inglese sull’Irlanda del Nord e i nazionalisti cattolici irlandesi. Ma, anche (o soprattutto) che l’integrità territoriale del Regno Unito non venga messa in discussione.
Una spiegazione puntuale del backstop è stata data da un articolo della BBC:
“Al momento, nell’isola irlandese, i beni e i servizi sono scambiati tra le due giurisdizioni (Irlanda del Nord che fa parte appunto del Regno Unito e la Repubblica dell’Irlanda ) con poche restrizioni. Sia gli UK che l’Irlanda fanno parte al momento dell’unione doganale e del mercato unico europeo, per cui i prodotti non devono essere ispezionati in nessuna frontiera. Tutto ciò potrebbe però cambiare dopo la formalizzazione della Brexit, visto che le due parti dell’Irlanda si troverebbero in regimi di regolamentazione diversi” (l’Irlanda del Nord fuori dall’Ue e la Repubblica dell’Irlanda nell’Ue).
E’ su un backstop applicato solo all’Irlanda del Nord che la premier britannica si è strenuamente opposta: in quel caso, infatti, i beni del resto degli UK in arrivo nell’Irlanda del Nord dovrebbero essere ispezionati per essere sicuri che rispettino gli standard dell’Unione europea. Theresa May ha sottolineato più volte che una tale soluzione – auspicata inizialmente da Bruxelles – finirebbe per minacciare l’integrità costituzionale dell’intero Regno Unito.
Alla fine, dopo mesi di impasse, Theresa May ha annunciato lo scorso 14 novembre una bozza di accordo UK-Ue che include anche un’intesa sul backstop.
Secondo tale accordo, nel caso in cui nessuna soluzione venisse trovata entro la fine del periodo di transizione fissata al dicembre del 2020, l’Irlanda del Nord dovrebbe rispettare alcune regole che disciplinano il mercato unico europeo. Allo stesso tempo, anche il resto del Regno Unito rimarrebbe nell‘Unione doganale Ue per un periodo di tempo temporaneo, e fino a quando le controparti non decidessero altrimenti.
La soluzione ha scatenato però l’ira di diversi Brexiter, che temono che in questo modo il Regno Unito non lascerà mai di fatto l’Unione europea, e che desiderano che gli UK escano dall’Unione doganale, in modo da poter siglare accordi commerciali liberi dai vincoli che Bruxelles ha imposto su settori diversi, come quello agricolo, ittico, alimentare e ambientale.