Nell’anno che verrà febbre a novanta sui prezzi in Asia, si guarda allo show down Obama-Jintao
L’influenza asiatica potrebbe attecchire sul mercato delle valute. La febbre dei prezzi non sarà alta in Europa, lo sarà invece in Asia. E’ questo il quadro che traccia Richard Urwin, Capo Investimenti del team Fiduciary Mandate di BlackRock, nel suo Outlook macro economico per l’anno che verrà. “Rimane basso il rischio di inflazione nelle economie dei paesi sviluppati, mentre tale rischio è maggiormente pronunciato nei paesi emergenti”, segnala il money manager, secondo cui nelle economie sviluppate il 2011 sarà un anno in cui le banche centrali si troveranno a gestire un livello basso di inflazione piuttosto che una crescita di quest’ultimo.
Con un particolare da non sottovalutare: il basso livello di inflazione non implicherà il manifestarsi di una deflazione. “Effettivamente – osserva ancora Urwin – se il rischio di deflazione dovesse aumentare, le banche centrali dovranno intervenire per aumentare gli stimoli monetari. Finché il rischio di inflazione nelle economie dei paesi emergenti rimarrà alto, è improbabile che l’inflazione accelererà in modo sostanziale”. Ad ogni modo Pechino ci ha messo del suo.
La Cina ha festeggiato il Natale, muovendo sui tassi. Lo ha fatto in sordina mentre il resto del mondo si fermava per la pausa natalizia. Pechino ha compiuto proprio il 25 dicembre l’aumento dei tassi d’interesse. La banca centrale, la People Bank of China, si è decisa ad alzare di 25 punti il tasso di riferimento per i prestiti, che arriverà al 5,81%, e di 25 punti il tasso di riferimento per i depositi, che salirà al 2,75%. In un comunicato diffuso sul suo sito web, la banca ha aggiunto che gli aumenti sono entrati in vigore dal giorno di Santo Stefano.
Di certo questa manovra è stata dettata dalla necessità di tenere a bada l’inflazione e la corsa dei prezzi del mercato immobiliare. Già lo scorso ottobre le autorità cinesi hanno aumentato il costo del denaro di un quarto di punto con lo scopo di arginare la febbre dei prezzi crescente. In questo quadro secondo gli analisti un più rapido apprezzamento dello yuan giocherà un ruolo importante nella lotta contro l’inflazione della Cina. Tanto che in molti prevedono per il 2011 un forte aumento del renminbi nei confronti del dollaro.
Lo yuan, secondo alcuni osservatori, si apprezzerà il prossimo anno di circa il 6%, attestandosi a 6,25 yuan per dollaro alla fine del 2011. Nel 2007-2008, quando la Cina combatteva per contenere l’inflazione, lo yuan è stato lasciato apprezzare del 7% in sei mesi. Ora le pressioni inflazionistiche sono inferiori e l’apprezzamento sarà più limitato. C’è chi osserva che “il governo sembra aver inviato il segnale di voler utilizzare sia i tassi di interesse sia i tassi di cambio per combattere l’inflazione”. Il presidente cinese, Hu Jintao, si recherà a Washington il prossimo 19 gennaio, dove incontrerà il presidente americano Barack Obama.
All’ordine del giorno dell’incontro potrebbero esserci i tassi di cambio, con gli Stati Uniti che hanno più volte attaccato la Cina per una moneta sottovalutata. Pechino è il maggiore creditore estero americano. E adesso che ha deciso di vestire i panni del paladino del Vecchio Continente tendendo la mano all’Europa spaventata dall’escalation della crisi dei debiti. Per Washigton si corre il rischio che l’Europa è pronta a barattare la paura, facendo più spazio ai prodotti cinesi sugli scaffali. Quando basta per lasciarsi accarezzare dell’idea che la visita di Jintao in terra americana si trasformerà in un vero show down.