Mps ovvero la banca che nessuno vuole: dopo UniCredit gelo anche dai francesi di Credit Agricole. Uscita Stato rimandata a oltre 2021?
Saranno pure tempi di risiko bancario e di febbre M&A, ma una cosa è certo: Mps non la vuole proprio nessuno. Il mercato lo sa, e il titolo continua a essere sotto pressione in Borsa: in quella che si sta per confermare la terza sessione consecutiva di sell, MPS ha ceduto fino a oltre -3% per poi rimanere in calo del 2,5% circa.
La caccia al partner della banca senese da parte del Tesoro non sembra aver prodotto alcun risultato positivo fino a oggi.
Tutt’altro: Luca Davi scrive sul Sole 24 Ore che a questo punto il Mef starebbe valutando l’opzione di rimandare l’uscita dal capitale della banca senese a oltre il 2021.
“Troppo elevate le incertezze che ancora gravano sul ‘grande malato’ del sistema bancario italiano, a partire da una mole di cause giudiziarie che superano i 10 miliardi di euro”.
Le diverse banche contattate come possibili spose più o meno perfette per la banca senese – che dal 2017, con l’operazione di ricapitalizzazione precauzionale, vede lo Stato come azionista di maggioranza – non avrebbero alcuna intenzione di accollarsi Monte dei Paschi.
Il Mef ha corteggiato UniCredit, ma la banca guidata da Jean Pierre Mustier, che ha ribadito tra l’altro innumerevoli volte di non essere interessato ad operazioni di M&A, sarebbe disposta a considerare l’opzione di rilevare Mps solo se l’impatto sul capitale fosse neutrale.
E così non è: il dossier è stato affrontato anche dagli analisti di Credit Suisse in un report recente, in cui hanno considerato il matrimonio improbabile:
“Sebbene una transazione potenziale di mercato con Mps a seguito dello smobilizzo stabilito dei suoi NPL possa essere un’opportunità per i vertici di UniCredit – la banca di Mustier ha dimostrato di riuscire ad avviare con successo il proprio programma di riduzione dei costi – riteniamo che il capitale sia un potenziale ostacolo. Il CET 1 fully loaded di Mps a seguito dello smobilizzo degli NPL ad Amco sarebbe pari al 10-10,1%, fattore che potrebbe portare la banca risultante da una eventuale fusione ad avere pochi margini per sostenere nell’immediato oneri di ristrutturazione, al fine di assicurarsi sinergie sui costi”.
Proprio di recente il ceo UniCredit, intervenendo alla conference online ‘Banking horizon Europe 2020’ organizzata da S&P Global, si era così espresso: “Il capitale in eccesso (di UniCredit) verrà usato per finanziare la redistribuzione agli azionisti attraverso i dividendi e il buyback delle azioni quando la Bce permetterà alle banche di farlo”. Avendo prima cura di precisare che “le fusioni non sono una panacea per UniCredit”.
Era da qualche giorno che si parlava della possibilità da parte dello Stato, di rimandare l’uscita dal capitale di MPS: una scelta che si confermerebbe obbligata, in assenza di potenziali acquirenti, ma che dovrebbe ricevere allo stesso tempo anche il via libera della Commissione europea.
A dire no al Mef sarebbe stata anche Banco BPM, entrata tra l’altro nelle mire di Credit Agricole, che avrebbe scaricato invece l’opzione Creval.
E proprio Credit Agricole, secondo alcuni rumor, sarebbe stata contattata dallo Stato in merito al dossier MPS. Ma dalla Francia non sarebbe arrivato né alcun entusiasmo, né una debole apertura ad accollarsi la patata bollente italiana. A riportare i rumor è stato il quotidiano Il Messaggero, che ha sottolineato che il colosso francese starebbe prendendo tempo, mostrando comunque un atteggiamento freddo nei confronti dell’ipotesi di andare a nozze con la banca controllata per il 68% del capitale dal Tesoro.
Che ora non sa più cosa fare per sbolognarla a qualcuno.