Mitsubishi Materials è il nuovo scandalo made in Japan. Tonfo in Borsa
Ennesimo brutto colpo per la credibilità e la reputazione del made in Japan. Un nuovo scandalo corporate ha travolto il Giappone, con riflessi immediati in Borsa. Stavolta, a sedere al banco degli imputati, è Mitsubishi Materials, colosso giapponese attivo nel settore manifatturiero.
E’ stata la stessa società ad ammettere di aver falsificato i dati relativi ad alcuni prodotti, tra cui macchinari industriali e componenti per auto e aerei, per fare in modo che venissero rispettate richieste specifiche inoltrate da alcuni clienti.
Alla borsa di Tokyo, il titolo è stato tramortito dalle vendite, perdendo fino a -11%, il calo più forte in 18 mesi.
Almeno due sono state le divisioni del gruppo che hanno fornito informazioni false: Mitsubishi Cable Industries ha falsificato, in particolare, i dati sui materiali sigillanti di gomma utilizzati negli aerei e nelle vetture, per almeno due anni e mezzo, a partire dall’aprile del 2015.
Un’altra sussidiaria, Mitsubishi Shindoh, ha manipolato i dati su alcuni prodotti in metallo, a partire dall’ottobre del 2016.
Mitsubishi Materials ha precisato che, in entrambi i casi, l’azienda non aveva rilevato la presenza di problemi legali o di sicurezza.
Tra i clienti di Mitsubishi Materials figurano nomi altisonanti, come quelli di Boeing e Airbus. In tutto, sarebbero più di 250 i clienti ‘beffati’ dalle informazioni della conglomerata.
Stando a quanto riportato dal quotidiano finanziario giapponese Nikkei, a essere coinvolta nello scandalo sarebbe anche una terza divisione, Mitsubishi Aluminium, che avrebbe fornito ai clienti altri prodotti con informazioni non veritiere. Il portavoce di Mitsubishi Materials non ha a tal proposito rilasciato commenti.
La notizia arriva dopo che a ottobre Kobe Steel, terzo produttore di acciaio in Giappone, aveva ammesso di aver falsificato i dati sulla qualità dell’alluminio e del rame venduti, e non solo.In quell’occasione, il quotidiano Nikkei aveva scritto che il caso rischiava di “distruggere la fiducia internazionale nelle aziende manifatturiere del Giappone”.
D’altronde, in precedenza c’erano già stati i casi di Nissan Motor e Takata. Tutti scandali che hanno macchiato la reputazione del paese, che ha sempre visto nella sua onestà e integrità i capisaldi della sua cultura, non solo corporate.
Il nuovo scandalo apre un nuovo squarcio nella società giapponese, alle prese con la sindrome del karoshi (“morte per il troppo lavoro), ossessionata dall’importanza dell’onore, assillata dallo spirito di competizione. Una società che sta derogando a quell’integrità di cui è stata sempre fiera, e che forse starebbe semplicemente pagando gli standard di qualità troppo alti che ha preteso da se stessa.
Lo stesso colosso dell’acciaio Kobe, nel motivare lo scandalo che lo ha travolto, ha riconosciuto di aver probabilmente fissato parametri di qualità non realistici, che hanno portato anche i lavoratori giapponesi, alla fine, a gettare la spugna e a decidere di non rispettare le regole, in quanto impossibili.
In un briefing a Tokyo, il direttore generale di Mitsubishi Materials, Akira Takeuchi, ha nel frattempo affermato che l’azienda non ha detto come stavano le cose in occasione della pubblicazione del bilancio, all’inizio del mese, in quanto voleva innanzitutto individuare tutti i clienti coinvolti.
Takeuchi ha anche detto che non intende rassegnare le dimissioni.
Dal canto suo il ministro del Commercio diapponese, Hiroshige Seko, ha definito il caso “estremamente increscioso”, comunicando che il governo cercherà di ottenere spiegazioni da Mitsubishi Cable per capire il motivo che ha portato la divisione a indugiare nell’ammettere il fatto.