Notizie Notizie Mondo MIFID II, terremoto normativo entra in vigore. Non per i mercati futures di Londra e Francoforte

MIFID II, terremoto normativo entra in vigore. Non per i mercati futures di Londra e Francoforte

3 Gennaio 2018 13:31

MIFID II, ovvero la più grande rivoluzione normativa dei mercati europei dell’ultimo decennio..che già non c’è. Per il momento, quello che è stato definito da alcuni un terremoto normativo in stile Big Bang e che è entrato in vigore, in via ufficiale, nella giornata di oggi, non scuoterà infatti i mercati dei futures più importanti in Europa.

Le autorità di regolamentazione hanno concesso altri 30 mesi di tempo all’Ice Futures Europe e al London Metal Exchange per adeguarsi dalle nuove regole. L’esonero è stato accordato proprio oggi, 3 gennaio 2018, data prevista per il lancio del MIFID II.

Per ora non sarà soggetto alle nuove norme neanche Eurex, il mercato dei futures con sede a Francoforte di proprietà di Deutsche Borse. La concessione in questo caso è stata rilasciata da BaFin, autorità di regolamentazione dei mercati in Germania.

MIFID II: per ora no applicazione a mercati futures UK e Germania

Nel caso delle due piattaforme londinesi, l’Ice e l’Lme, l’autorità finanziaria del Regno Unito, ovvero la FCA, ha motivato la decisione con la necessità di assicurare “il funzionamento ordinato” delle attività di compensazione.

“A partire dal 3 gennaio, di conseguenza, Ice Futures Europe e LME non avranno l’obbligo di esaminare le richieste di libero accesso (…) legate ai derivati regolamente trattati sulle loro piattaforme fino alla scadenza del periodo di transizione del 3 luglio 2020″.

Le difficoltà in cui si imbattono le piattaforme di scambio dei futures si riassumono nella clausola di “libero accesso” (open access) prevista dal MIFID II. Clausola che, al fine di rendere più flessibili gli scambi e di alimentare una maggiore competizione, elimina l’obbligo di compensare una transazione nello stesso mercato dove essa è avvenuta.

Intervistato dal Financial Times Jake Green, partner della società legale Ashurts, ha commentato gli annunci del Regno Unito e della Germania, definendo “assolutamente brutale” l’insieme degli sforzi che i vari operatori finanziari devono compiere per adattarsi ai “cambiamenti normativi e agli aggiornamenti”.

Continuando, l’esperto ha parlato di  cambiamenti, con la normativa, “impossibili da riuscire a controllare”.

Tutto questo, mentre i broker temono che le varie modifiche richieste possano deprimere i volumi di trading nel mese di gennaio.

Sia le banche che i broker si sono affannati nelle ultime settimane ad aggiornare i loro sistemi IT per conformarsi ai dettami del MIFID II, che richiedono, tra le altre cose, che le operazioni di trading vengano descritte in modo più dettagliato.

Ingenti i costi, con la società di consulenza Opimas che ha già stimato che l’applicazione del MIFID comporterà una spesa complessiva, per l’intera industria della finanza, per un valore superiore a 2,5 miliardi di euro. In particolare le banche più grandi che saranno costrette a spendere più di 40 milioni di euro ciascuna per conformarsi a quello che viene definito – e soprattutto avvertito -, alla stregua di un vero terremoto normativo.

Fattore Brexit rischia di complicare adeguamento a MIFID II

La piattaforma tedesca Eurex ha addotto la Brexit come ulteriore motivazione della necessità di disporre di più tempo, visto che il Regno Unito rappresenta il mercato numero uno in Europa per la compensazione dei derivati. Il timore è che il Regno Unito possa decidere di fare di testa sua, una volta uscito ufficialmente dall’Unione europea.

“La Brexit cambia i giochi”, ha fatto notare Eurex che, a questo punto, dopo la decisione di BaFin, inizierà ad applicare le regole a partire dal 3 luglio del 2020.

Il Financial Times riporta intanto che anche l’autorità finanziaria francese, l’Autorité des Marchés Financiers, starebbe valutando l’opzione di ritardare in modo simile l’entrata in vigore delle disposizioni MIFID II.

Ma cosa comporta il MIFI II?

La direttiva MIFID II (Market in Financial Instruments directive) è entrata in vigore in Italia attraverso il decreto dello scorso 3 agosto, insieme al regolamento MIFIR (Markets in financial instruments regulation) e contiene i nuovi parametri a cui le imprese di investimento si dovranno conformare, a partire da quest’anno.

I prodotti finanziari coinvolti nella nuova regolamentazione saranno i mercati azionari, reddito fisso, commodities, valute, futures, ETP e alcuni derivati retail.

L’obiettivo è di garantire una maggiore trasparenza delle negoziazioni e dunque una altrettanta maggiore tutela degli investitori.

Le nuove norme dovranno essere osservate da chiunque acquisti o venda azioni, bond, valute, commodities o ETF, e il loro raggio di azione non sarà confinato alla sola Unione europea.

Qualsiasi contratto di opzione il cui sottostante sia un asset quotato in Europa sarà soggetto infatti alla nuova normativa, così come qualsiasi titolo azionario di una società estera che sia quotato in un listino europeo.

Una banca asiatica che vendesse strumenti finanziari a un cliente Ue dovrà anch’essa conformarsi ai nuovi diktat. In generale, le norme interesseranno tutti gli attori principali del mondo della finanza: banche, gestori di bond, mercati vari e piattaforme di trading, trader arrivi nell’high-frequency trading, broker, fondi pensione e investitori retail.

MIFID

Si punta anche a spostare una fetta significativa del trading over-the-counter nei mercati regolamentati.

Ipo in pericolo?

Tra gli aspetti più di rilievo del MiFID II c’è quello che attiene al modo in cui i gestori di fondi pagheranno le ricerche che utilizzano per prendere le decisioni di investimento.

Finora i gestori hanno ottenuto gratis input importanti dagli analisti attraverso analisi, report, conversazioni telefoniche, anche se il costo del servizio è stato imputato alle commissioni di trading, che di norma sono pagate dai clienti degli stessi gestori.

Con l’introduzione della norma, i gestori dovranno pagare banche e broker in via separata per le attività di ricerca e i servizi di trading, invece di corrispondere una commissione per entrambi i business.

La disposizione si spiega con l’obiettivo di aumentare la trasparenza della gestione dei fondi, visto che in questo modo i clienti potranno monitorare direttamente il modo in cui i loro soldi saranno investiti.

Tale disposizione sta creando già un bel po’ di caos.

Bloomberg riporta per esempio che una banca di investimenti, per non ricevere più le centinaia di email che ha tradizionalmente ricevuto, si è trovata costretta a inviare email automatiche, chiedendo ai mittenti di smettere di inviare i report. Ma alcuni di questi studi saranno stati comunque già ricevuti, tanto che, secondo Alistair Haig, docente di mercati finanziari presso la Business School dell’Università di Edimburgo, prevede che molti saranno i gestori dei fondi che dovranno rivolgersi alle autorià competenti, chiedendo “Ho ricevuto questo”, oppure “Ho aperto questa lettera”. Cosa devo fare?“.

Si teme tra l’altro anche una guerra di prezzi tra i vari analisti, che cercheranno di abbassare il costo dei loro report per continuare a fare affari con i gestori dei fondi.

A soffrire saranno inoltre le banche retail, che pagheranno il divieto di percepire incentivi a dare consigli di investimenti o di gestione del portafoglio.

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Secondo Bloomberg, la normativa potrebbe anche “dissuadere le società dallo sbarco sui mercati, visto che si ritiene in modo diffuso che la necessità di contabilizzare in via separata da un lato i servizi di trading, dall’altro la ricerca, porterà gli analisti a occuparsi in misura minore delle aziende più piccole“.

Ciò significa che in pericolo sarebbero addittura le operazioni di Ipo.

Così Nick Burchett, gestore azionario presso Cavendish Asset Management:

“Se un corporate broker finisse con il poter fare il market maker solo per gli investitori che pagano per le sue analisi, raccogliere nuovi fondi diventerebbe molto più complicato”.