Micron Technology bandita in Cina. FT: in vista guerra commerciale globale da $1 trilione
Basta vendite di chip Micron Technology in Cina: le indiscrezioni mettono KO le quotazioni del colosso americano, con un effetto contagio che investe il settore tecnologico. Wall Street oggi rimarrà chiusa in occasione dell’Independence Day, la festa dell’Indipendenza Usa che si celebra ogni 4 luglio. Ma qualcuno ironicamente scrive che i fuochi di artificio si sono già visti ieri nella borsa americana.
E c’è poi l’alert del Financial Times che spiazza tutti: a esplodere potrebbe essere ben presto una guerra commerciale valutata ben $1 trilione.
Iniziando con Micron Technology i rumor, riportati da Bloomberg, confermano l’escalation della guerra commerciale tra Cina e Usa, in vista dell’applicazione di dazi doganali da parte dell’America First di Donald Trump, che dovrebbero scattare venerdì 6 luglio, tra qualche giorno, contro Pechino. A essere colpiti, prodotti cinesi per un valore di $34 miliardi.
Forte è il nervosismo sui mercati, su cui pende la spada di Damocle dell’imminente annuncio.
In questo contesto, si apprende che, in una sentenza a favore della rivale taiwanese United Microelectronics (UMC), un tribunale cinese di Fuzhou avrebbe emesso una ingiunzione preliminare, vietando all’americana Micron la vendita di 26 prodotti in Cina. L’annuncio sarebbe arrivato dalla stessa UMC.
Bloomberg scrive che la sentenza si riferisce a una disputa commerciale più ampia, in corso tra le due aziende, incentrata sulle accuse secondo cui UMC sarebbe stata il canale con cui Pechino avrebbe rubato i progetti di Micron, al fine di consentire alla Cina di sviluppare una propria industria domestica di semiconduttori, senza dover ricorrere alle importazioni di prodotti stranieri.
Insieme ad altre società rivali coreane, Micron sarebbe finita allo stesso tempo nel mirino delle autorità cinesi per l’aumento applicato ai prezzi dei suoi prodotti.
Secondo altre fonti, è anche possibile che Micron Technology sia stata colpita dal bando nell’ambito di una ritorsione che Pechino avrebbe sferrato dopo l’attacco di Donald Trump contro China Mobile.
L’amministrazione Usa ha reso noto infatti che impedirà al gigante delle tlc China Mobile di entrare nel mercato americano, visto che il gruppo è controllato al 100% da Pechino.
Sta di fatto che il titolo Micron è stato colpito pesantemente dai sell off, chiudendo in calo del 5,5%, a $51,48, dopo aver testato un minimo intraday a $50,10. D’altronde, la Cina ha inciso per più del 50% sul fatturato che il gruppo americano ha riportato nell’anno fiscale 2017.
La situazione si fa sempre più esplosiva, e Morgan Stanley prevede che il prossimo settore a essere colpito dai dazi sarà proprio quello tecnologico.
A nulla è valso il comunicato diramato dalla stessa MU, che ha reso noto di “non aver ricevuto alcuna ingiunzione preliminare che si riferisca a quanto detto da United Microelectronics Corporation (UMC) e Fujian Jinhua Integrated Circuit (Jinhua), in data 3 luglio”. “Micron non rilascerà ulteriori commenti, fino a quando non avrà ricevuto ed esaminato la documentazione del tribunale di Fuzhou”, si legge nel comunicato.
La paura di ritorsioni cinesi che possano prendere di mira anche il settore hi-tech Usa e mondiale ha freddato ieri il comparto dei chip, con l’indice di riferimento PHLX Semiconductor che ha chiuso in flessione dell’1,8%: la maggior parte dei cali si è presentata nell’ultima ora della seduta a Wall Street, dopo l’arrivo della notizia. Si riparte da lì, oggi, con le borse europee che scontano i nuovi tumulti nelle relazioni commerciali.
Oggi a Piazza Affari è STMicroelectronics che paga il fattore Micron, mentre ieri a Wall Street hanno perso soprattutto Intel -1,45%, Nvidia -2,23% e Qualcomm -1,51%. Di seguito, l’esposizione di Micron verso i principali mercati.
Intanto, nel commentare quanto sta accadendo a livello globale, Shawn Donnan, corrispondente dell’FT a Washington, ha scritto nelle ultime ore che la tensione è tale da poter scatenare una guerra commerciale valutata fino a 1 trilione di dollari“.
I motivi sono tre.
Allarme Micron. E spaventa cifra FT su guerra commercio
Il primo motivo è che lo scontro Trump-Cina potrebbe comportare dazi ben superiori ai $34 miliardi che stanno per essere imposti ufficialmente dall’amministrazione Usa contro prodotti cinesi.
Viene ricordato come Trump abbia annunciato ulteriori tariffe punitive del valore di $200 miliardi, minacciandone poi anche altre per $200 miliardi.
“Per avere una idea delle minacce di dazi del valore di $450 miliardi basti pensare, scrive l’FT, che lo scorso anno l’America ha importato beni cinesi per un valore di $505,5 miliardi, a fronte di esportazioni verso la Cina che hanno testato il record di $129,9 miliardi“.
“Non è di conseguenza allarmistico dire che potrebbe trascorrere solo qualche prima che un commercio totale valutato $635,4 miliardi venga colpito da nuovi dazi e che la Cina faccia ricorso ad altre forme sproporzionate di ritorsione per rispondere”.
Secondo motivo: A questa cifra già monstre, devono essere aggiunti anche i dazi doganali che Trump ha minacciato di imporre sulle auto importate dagli Usa. Dai dati ufficiali emerge, continua il quotidiano britannico, che gli Stati Uniti hanno importato auto e altri veicoli leggeri per un valore di $191,7 miliardi nel 2017, e componenti auto per ulteriori $143,1 miliardi, per un totale di $334,8 miliardi.
Non è detto – scrive l’FT – che la ritorsione alle potenziali tariffe Usa sulle auto (che potrebbero essere pari al 20%) sarà altrettanto estrema ma, nel peggiore degli scenari, “a essere interessata dai dazi sarebbe una fetta del commercio globale che vale più di $650 miliardi, con conseguenze globali per le aziende” coinvolte.
Terzo motivo: “Non dimenticate il Nafta“.
Spesso si perde di vista il fatto, secondo l’FT, che “gli Stati Uniti commerciano più con il Canada e il Messico (per un valore di $1,1 trilioni) che con la Cina, il Giappone, la Germania e il Regno Unito combinati”.
In attesa del rinnovo dell’accordo Nafta, Canada e Messico hanno opposto resistenza alle richieste di Trump, che premono tra le altre cose sull’introduzione di una clausola che farebbe scadere il patto ogni cinque anni. Nel frattempo, gli Usa hanno deciso di colpire i due paesi con dazi sull’acciaio e l’alluminio e anche con minacce al settore automobilistico.
Ora, “nel 2017, le importazioni americane di auto e componenti auto dai suoi partner della Nafta – gran parte della somma deriva dalle stesse fabbriche Usa – si sono attestate a un valore superiore a $158,3 miliardi, mentre le esportazioni Usa verso gli stessi sono ammontate a $87,8 miliardi”.
Basta fare qualche calcolo, per capire che a rischio dazi è un commercio globale che vale ben $1 trilioni.