Notizie Notizie Mondo Messico e Trump: un tema cruciale per i Mercati Emergenti

Messico e Trump: un tema cruciale per i Mercati Emergenti

7 Febbraio 2017 11:59
 
 
 
Donald Trump ha vinto le elezioni con un programma protezionista, in particolare nei confronti del Messico, e la spinta a mantenere le promesse elettorali probabilmente lo indurrà a realizzare alcune delle iniziative annunciate. Se le misure che intende mettere in atto sono ancora incerte, gli annunci hanno comunque trasformato già gli asset messicani in uno dei temi chiave nell’ambito del debito dei Paesi emergenti. Se secondo Charles De Quinsonas, gestore del fondo M&G Emerging Markets Bond, al di là della natura simbolica, la costruzione di un muro al confine meridionale degli Stati Uniti avrebbe un impatto limitato sull’economia messicana, tuttavia altre politiche sostenute da Trump possono avere effetti significativi sia sull’attività economica sia sui prezzi degli asset. Vediamole nel dettaglio.
 
I dazi
 
Per il Messico le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresentano circa l’80% del totale. I beni e servizi scambiati nell’ambito del NAFTA (l’accordo nord-americano per il libero commercio) costituiscono circa il 25% del Pil e non sono previsti dazi sull’esportazione negli USA dei beni che rientrano nelle tipologie contemplate. “L’imposizione di qualsiasi tipo di tariffa doganale colpirebbe automaticamente l’industria manifatturiera messicana e, in particolare, il settore dei componenti per auto”, spiega De Quinsonas. Per esempio, un dazio del 35% comporterebbe una riduzione dello 0,8-0,9% circa del Pil messicano, solo come effetto primario, ossia senza considerare i danni collaterali a livello di investimenti, consumi, eccetera. Dato che secondo le aspettative il Messico dovrebbe crescere fra l’1 e il 2% quest’anno, una tariffa doganale del 35% potrebbe provocare una recessione. “Un dazio simile, comunque, implicherebbe una violazione del NAFTA e l’uscita degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale del commercio”, è il commento di De Quinsonas.
 
Tassazione delle rimesse
 
Trump ha minacciato di tassare i contanti inviati in Messico dagli immigrati messicani legali e illegali che lavorano negli Stati Uniti che rappresentano il 2% del Pil. “Si tratta di una misura poco realistica, dal momento che presenta molte criticità dal punto di vista costituzionale per gli Stati Uniti, e gli immigrati troveranno sempre un modo di mandare i soldi, per esempio, affidandoli a qualche amico)”, è il parere di De Quinsonas.
Più realistiche appaiono altre misure non tariffarie, come le barriere commerciali per la sicurezza e la salute che non richiedono l’approvazione del Congresso, e che influirebbero soprattutto sul settore dei prodotti agricoli messicani.
 
Debolezza negoziale
 
Per capire la piega che prenderanno gli eventi, secondo il gestore, è bene sottolineare che il Messico ha poche carte da giocare al tavolo dei negoziati. Per esempio, la minaccia di aprire il confine meridionale del Paese con il Guatemala e consentire a tutti gli immigrati di arrivare negli Stati Uniti sembra insostenibile, dato che neanche il Messico intende esporsi a un’immigrazione di massa dagli altri stati dell’America Centrale. “Tuttavia – spiega De Quinsonas – la teoria secondo cui l’economia del Texas (grande esportatore verso il Messico con oltre un milione di posti di lavoro legati al settore) risentirebbe negativamente di una guerra commerciale gioca a favore del Messico, considerando l’alto numero di Repubblicani in Texas”.
Il peso del NAFTA
 
Ma l’argomentazione più rilevante è la dipendenza economica reciproca fra Canada, Stati Uniti e Messico creata dal NAFTA. Come ricorda De Quinsonas, il giorno successivo all’11 settembre, gli Stati Uniti chiusero la frontiera con il Canada per motivi di sicurezza e il 12 settembre a Detroit non fu prodotta neanche un’automobile, poiché la catena di fornitura, altamente integrata, si era inceppata sulle componenti che dovevano arrivare dal Canada. “Inoltre, molti produttori di ricambi per auto hanno piattaforme con una vita media di sette-otto anni, mentre il presidente ha un mandato di quattro anni (o di otto, nella migliore delle ipotesi) – spiega De Quinsonas – E’ molto improbabile quindi che società come General Motors e Ford recedano improvvisamente dai contratti dopo gli investimenti già effettuati”. Analogamente, un incremento rilevante dei dazi costringerebbe le società messicane a trasferire il costo ai produttori di OEM statunitensi. “Pertanto ritengo poco probabile l’imposizione di una tariffa doganale del 35%, poiché sarebbero i consumatori Usa a risentirne al momento di comprare un’auto nuova”. Quello che invece sembra possibile è che i produttori di OEM e altre società americane decidano di sospendere o annullare i piani di investimento futuri proprio come ha fatto ai primi dell’anno Ford, che ha revocato un investimento da 1,6 miliardi di dollari per un nuovo impianto in Messico, dichiarando che avrebbe invece investito 700 mila dollari nel suo stabilimento del Michigan.
 
Stop agli investimenti
 
In ogni caso sarà certamente un anno di “rumore” per il Messico e l’incertezza incide in modo negativo sugli investimenti. Gli investimenti diretti esteri (FDI) in Messico l’anno scorso sono stati pari a circa 25 miliardi di dollari e si prevede una sensibile diminuzione nel 2017. Tra il 2008 e il 2015, il disavanzo corrente del Messico è stato coperto dagli FDI. E, sebbene il deficit non sia previsto in aumento, un calo degli investimenti esteri pone il problema di come il Messico riuscirà a finanziarie il passivo della bilancia commerciale esistente in futuro. “Gli effetti secondari di questo fenomeno sulla disoccupazione e i consumi interni potrebbero inoltre amplificare il deterioramento del profilo creditizio del Paese”, dice De Quinsonas. Che aggiunge: “Se a questo si aggiungono i potenziali deflussi dai titoli governativi in valuta locale (per il 70% in mano a investitori stranieri), lo scenario appare sempre più fosco”.
 
Banco di prova
 
Alla luce di tutto questo, che cosa scontano attualmente i mercati degli investimenti? La risposta è, un po’ a sorpresa, quasi niente nel mercato delle obbligazioni societarie in dollari Usa. Gli spread delle obbligazioni di emittenti societari messicani al momento sono intorno ai 300 punti base (pb), in calo di 10 pb dal livello precedente alle elezioni Usa. Certo, alcuni settori come il turismo hanno beneficiato del peso più debole, ma per contro molte società, per esempio nel settore telecom, hanno patito il deprezzamento della valuta. “Come accade per le aree della produzione industriale e dei consumi, sono settori fortemente dipendenti dal NAFTA e il premio in termini di spread obbligazionari non riflette il rischio dell’adozione di tariffe doganali – dice il gestore – Casomai, gli spread scontano già il risvolto positivo costituito dalla possibilità che la crescita statunitense più vigorosa dia impulso agli scambi commerciali con il Messico”. “Un ottimismo che personalmente non condivido”, aggiunge De Quinsonas. Che conclude: “Dal punto di vista del mercato globale, il modo in cui la nuova amministrazione Usa ridefinirà i rapporti con il Messico potrebbe dettare il tono per questioni ancora più rilevanti, in particolare i rapporti con la Cina: pertanto il posizionamento nei confronti del tema Trump-Messico sarà cruciale per tutti gli investitori”.