Notizie Notizie Mondo Mercati, tra dazi ed espansione fiscale: ecco perché la crescita continuerà

Mercati, tra dazi ed espansione fiscale: ecco perché la crescita continuerà

9 Aprile 2025 08:00

Nonostante i timori di recessione alimentati dalla guerra dei dazi, il mondo continua a mostrare segnali di crescita importanti. È il messaggio di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, che invita a non cedere al pessimismo in questa fase volatile. I piani fiscali espansivi, ricorda, possono sostenere l’economia globale anche di fronte all’aumento dell’inflazione e ai rischi di rallentamento. Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e resto del mondo potrebbero sfociare non solo in ritorsioni, ma anche in trattative che, a sorpresa, potrebbero portare a un abbassamento delle barriere tariffarie.

ll rischio recessione

Si parla molto, in questi giorni, di una possibile recessione nel secondo e terzo trimestre. Alla recessione si accompagnerebbe un aumento della disoccupazione, che negli Stati Uniti potrebbe superare il 5 per cento rispetto al 4.2 attuale. Ma non basta, perché sarà difficile evitare, se la guerra dei dazi prosegue, una fiammata dell’inflazione. Si tratta di ipotesi, basate su quello che sappiamo oggi, ma tutto potrebbe cambiare in qualsiasi momento. La guerra dei dazi può diventare ancora più dura e dare luogo a ritorsioni da parte dei paesi colpiti. Ma può anche attenuarsi e dare perfino luogo a risultati inattesi, come ad esempio tariffe che, alla fine della trattativa bilaterale con questo o quel paese, vengono abbassate da entrambe le parti o addirittura azzerate.

Va infatti ricordato che in questo conflitto commerciale tra Stati Uniti e resto del mondo, quest’ultimo non è un blocco omogeneo. Si va infatti da una Cina che si ritiene abbastanza forte da imporre controsanzioni all’America, a un’Unione Europea che pensa di giocare contemporaneamente una partita ostile e una partita collaborativa per finire con i paesi che si presentano a Washington dichiarandosi disposti ad azzerare i loro dazi verso l’America in uno spirito di piena collaborazione. Per le prossime settimane sarà quindi opportuno, come investitori, rimanere aperti alla possibilità di esiti differenziati. Probabilmente l’aliquota generale del 10 per cento rimarrà, ma l’aliquota aggiuntiva verso i singoli paesi sarà abbassata o mantenuta al livello annunciato nel Liberation Day a seconda di come andranno le varie trattative. Questo processo non sarà breve come molti si aspettano e terrà il mercato sulle spine ancora qualche tempo.

I cambiamenti globali

Alla fine, il sistema globale delle alleanze risulterà trasformato. L’amministrazione Trump non sta infatti scegliendo di applicare dazi più bassi agli amici storici dell’America, ma di considerare amici i Paesi che mostreranno più disponibilità durante le trattative. In pratica ogni paese potrà scegliere quanto essere considerato un alleato che può contare sulla protezione militare americana oppure un avversario oppure ancora un paese che vuole mantenersi le mani libere.

A rendere difficile la lettura del quadro attuale e delle prospettive c’è anche un elemento positivo. Le tensioni sui mercati si inseriscono infatti in un contesto macro che presenta ancora elementi rassicuranti. Le stime sulla crescita americana hanno una dispersione eccezionalmente ampia in questo momento, ma i dati cosiddetti duri, quelli cioè che non riflettono attese o emozioni ma fatti concreti, indicano una buona resilienza e un’inflazione tutto sommato contenuta. Lo stesso si può dire dell’Europa, mentre la Cina conferma i suoi obiettivi di crescita ambiziosi per quest’anno. Le banche centrali, sia pure senza fretta, sono orientate a tagliare i tassi. Né va poi dimenticato che la politica economica non è fatta solo da dazi e tassi, ma anche da altri fattori, che il mercato sembra essersi dimenticato, come la deregulation e i tagli di imposte in America o i programmi fiscali espansivi in Europa e in Cina.

I fattori faovrevoli

In pratica, rimane verosimile che le nuove politiche commerciali danneggeranno la crescita, ma non è ancora detto che il danno arrivi a provocare una recessione, tanto meno una recessione su scala globale. Detto questo, è decisamente preferibile mantenere un profilo prudente, in primo luogo perché le valutazioni azionarie, per quanto snellite e pure con interessanti eccezioni, non sono ancora così attraenti. In secondo luogo, è di regola meglio comprare quando ci sono segnali concreti di stabilizzazione e miglioramento del clima politico, piuttosto che entrare semplicemente perché il prezzo dei titoli è sceso in misura rilevante. Diversamente dal 2022, quando azioni e obbligazioni scesero insieme, questa volta la caduta dell’azionario sembra essere almeno in parte compensata da un recupero dei bond. È molto interessante che le aspettative di inflazione, benché piuttosto alte per il breve termine, siano tornate contenute sul lungo. Mentre del resto i dazi daranno una fiammata temporanea ai prezzi, la forte discesa del prezzo del petrolio potrebbe diventare strutturale, grazie all’aumento dell’offerta a fronte di una domanda stabile.

In conclusione, per quanto ingarbugliata, la situazione attuale non giustifica il panico. Ma per quanto buoni o discreti siano ancora i dati macro e quelli sugli utili, il quadro non giustifica nemmeno l’abbandono della prudenza. I ruggenti anni Venti di cui si è favoleggiato nei due anni passati sono terminati. La seconda metà del decennio difficilmente vedrà formarsi nuove bolle e consisterà piuttosto in un impegnativo processo di riequilibrio globale e in una grande rotazione dei mercati azionari.