Mercati nel caos, dati macro scatenano corsa ai Treasuries, sell su dollaro. Oggi la Fed (grafici)
L’economia Usa è davvero pronta ad affrontare più rialzi dei tassi da parte della Fed? L’interrogativo è quanto mai opportuno, visto che l’annuncio sulla seconda stretta monetaria del 2017 da parte di Janet Yellen & Company è atteso proprio in giornata. Secondo il consensus, i tassi saranno alzati di un quarto di punto percentuale al range compreso tra l’1% e l’1,25%.
Tuttavia, già Goldman Sachs ha anticipato che, a suo avviso, è molto probabile che nella giornata di oggi la Fed decida di rivedere al ribasso le previsioni su crescita e inflazione. E ora un deciso altolà arriva dal fronte economico degli Stati Uniti, con la pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo e delle vendite al dettaglio.
Il quadro che emerge dai dati non rassicura affatto chi teme che la Fed stia andando troppo oltre nel suo processo di normalizzazione dei tassi. E la confusione, tra gli investitori, è tale che, subito dopo la comunicazione degli indicatori i flussi di denaro si dirigono verso gli asset rifugio, in particolare verso l’oro e i Treasuries. Il risultato è che i rendimenti decennali dei Treasuries crollano al valore più basso dallo scorso 10 novembre.
Il dollaro, invece, la cui performance dipende dalle aspettative sulle manovre di politica monetaria, punta verso il basso.
Sbandano anche gli altri asset finanziari come petrolio e azionario.
I grafici confermano i movimenti brutali in atto sui mercati, con il rapporto di cambio dollaro-yen che ha accelerato subito al ribasso a JPY 109,60, attestandosi ai minimi in due mesi, a fronte dell’euro-dollaro, balzato a $1,1250. Le vendite sul dollaro hanno fatto capitolare il Dollar Index, che ha riportato la flessione più forte dal rialzo dei tassi della Fed a marzo, al minimo dallo scorso 3 ottobre.
Una reazione naturale, se si considera i dati appena arrivati dal fronte macro Usa.
Decisamente deludente il trend dell’indice dei prezzi al consumo che, in base a quanto aveva riferito la RBC, si sarebbe confermato oggi più importante dell’annuncio della Fed.
Il dato, termometro delle pressioni inflazionistiche, è sceso a maggio per la seconda volta in tre mesi, segnando un calo dello 0,1%. Per avere un’idea della portata del rallentamento, basti pensare che su base annua la crescita dell’inflazione è stata dell’1,9%, rispetto al 2,2% di aprile, e in decisa frenata nei confronti del massimo in cinque anni del 2,7% di appena quattro mesi fa.
Decisamente peggiore delle attese è stato il trend della componente core: +1,7% a maggio, rispetto al +1,9% di aprile.) A incidere è stato soprattutto il crollo dei prezzi energetici. Ma, certo, anche la componente core slegata dai fattori volatili si è mostrata deludente.
Immediata la reazione dei Treasuries Usa, con i tassi decennali scesi al 2,16%.
Altra sorpresa negativa è arrivata dal dato relativo alle vendite al dettaglio, che su base mensile sono scese dello 0,3% a maggio, soffrendo il calo più sostenuto dal gennaio del 2016.
Esclusa la componente delle vendite di auto, il dato è calato ancora dello 0,3%, peggio rispetto al +0,1% atteso.