Notizie Notizie Italia Mediobanca: fisco, costi e performance allontanano gli italiani dai fondi comuni

Mediobanca: fisco, costi e performance allontanano gli italiani dai fondi comuni

20 Luglio 2007 06:56

La disaffezione del risparmiatori italiani verso il risparmio gestito continua a crescere e viene certificata dall’analisi annuale effettuata dall’ufficio studi di Mediobanca relativa all’anno 2006, il peggiore di sempre per l’industria dei fondi comuni d’investimento. La raccolta è sprofondata al valore negativo di -39 miliardi di euro, proseguendo una discesa iniziata un paio di anni prima e che non ha ancora trovato un punto d’assestamento e che ha visto scivolare l’Italia in ottava posizione dalla quarta che veniva occupata solo due anni orsono.


La frana sarebbe ancora più evidente se dal computo venisse tolta la raccolta andata a vantaggio degli hedge fund e dei fondi pensione, riusciti solo in parte a mascherare il risultato. Il passivo dei soli fondi aperti nel corso del 2006 è stato di oltre 52 miliardi di euro e una sola delle categorie in cui l’industria è suddivisa è riuscita a concludere l’anno con una raccolta positiva, quella dei fondi flessibili con un attivo di 13 miliardi di euro.


La concorrenza di altri prodotti di investimento ha sicuramente avuto un impatto negativo, ma a controbilanciare questo elemento sfavorevole dovrebbe esserci l’avvio della nuova previdenza integrativa nel Belpaese. Eppure anche relativamente ai fondi pensione gli italiani hanno dimostrato ben poca fiducia nei fondi di investimento e nei loro manager. Il raffronto con quanto avvenuto negli altri Paesi è infatti schiacciante e sottolinea come l’Italia sia un caso a parte. A livello mondiale secondo i dati raccolti dall’Associazione delle compagnie di investimento in fondi statunitense, l’Ici, il patrimonio gestito è salito a quota 21.765 miliardi di dollari con un balzo del 22,5% rispetto al 2005 mentre la raccolta è stata positiva per oltre 4.000 miliardi di dollari suddivisi tra Usa e eVecchio continente.


Una delle variabili che pesa maggiormente sull’industria fondi italiana è quella fiscale. Non è un mistero che i fondi d’investimento italiani siano fiscalmente sfavoriti rispetto a quelli stranieri, dovendo sottoporsi a un prelievo fiscale del 12,5% sul rendimento maturato ma non ancora realizzato, come invece avviene per i fondi di altri Paesi. Sulla questione si è già dibattuto a livello governativo senza però giungere a un miglioramento situazione, con il risultato di favorire il comparto di altre nazioni, come il Lussemburgo o la Francia, dove il prelievo fiscale viene effettuato sul realizzato ossia su ciò che uno materialmente incassa.


I fondi e i gestori tuttavia ci mettono del loro nel rendere poco attraente l’investimento per il risparmiatore italiano. A fronte di costi di gestione in media elevati e poco competitivi i ritorni garantiti dai fund manager italiani sbiadiscono di fronte a quanto realizzato altrove. Il dato sugli ultimi tre anni è netto. Mondato del 12,5% di ritenuta fiscale, il rendimento medio dei fondi comuni della Penisola è stato di poco inferiore all’11% contro il 24% circa dei fondi statunitensi, il 23,5% dei francesi e l’inarrivabile 54% degli statunitensi. Solo la Germania presenta un dato di poco superiore a quello italiano, con un rendimento medio negli ultimi tre anni intorno al 13%. La colpa spesso è della preferenza accordata a politiche di investimento poco prudenti e con un peso troppo leggero per l’azionario in un momento in cui osare un po’ di  più avrebbe portato sicuramente a risultati più brillanti.