L’inflazione deflazionistica, Eurizon spiega il motivo della corsa al ribasso dei tassi Treasury
Prosecuzione del recupero ciclico globale, assieme a crescente attenzione sulla futura riduzione degli stimoli monetari da parte delle Banche Centrali. È questo lo scenario di riferimento previsto nel report mensile di Eurizon sulle view di investimento, che conferma un approccio a bassa esposizione direzionale, con posizionamenti neutrali sulle principali attività di rischio, sottopeso di duration per USA e Germania e sovrappeso relativo sulle borse dell’Eurozona.
In tale contesto, l’approfondimento mensile di Eurizon è dedicato a “L’inflazione deflazionistica”. Come è possibile che il forte balzo dell’inflazione USA di aprile e maggio non abbia fatto salire i tassi governativi a lunga scadenza, ma anzi sia stato seguito da una loro discesa?
“L’inflazione è, di fatto, una tassa sui consumatori. È sostenibile se, e solo se, il reddito dei consumatori cresce in linea, o più, dell’aumento dei prezzi. Diversamente è una tassa, e basta, che deprime il potere d’acquisto. Questo è ciò che sta avvenendo negli USA” spiega Eurizon, secondo cui “il balzo dei prezzi al consumo di aprile e maggio non è stato compensato da un corrispondente aumento dei salari, la cui variazione in termini reali risulta abbondantemente negativa. In questo senso l’inflazione diventa deflazionistica, perché tagliando il potere d’acquisto, crea i presupposti per un calo dei consumi e quindi un rallentamento dell’economia”.
La mossa inaspettata della Fed
La principale novità dell’ultimo periodo è stato il cambio di intonazione da parte della Federal Reserve che prevede ora di alzare i tassi nel 2023, e non più nel 2024. “Il cambio di programma era già scontato nei futures sui Fed Funds e ha quindi creato poca volatilità” si legge nel report. “Non a caso la Fed ha puntato l’attenzione sulle motivazioni peculiari che hanno spinto i prezzi verso l’alto, tutti legati alle riaperture post-vaccinazione, precisando che un tipo di inflazione così non va contrastato con tassi più alti, il cui effetto deflazionistico sarebbe rafforzato”.
Inoltre, prosegue Eurizon, “la Fed ha anche puntato l’attenzione sulla transitorietà della fiammata di inflazione, il cui impatto sul reddito dei lavoratori (consumatori) sarà compensato man mano che i colli di bottiglia legati alle riaperture saranno sciolti e man mano che proseguirà il recupero dei posti di lavoro persi durante la recessione”.
Cosa faranno le banche centrali?
“Negli USA vi sono ancora circa 8 milioni di lavoratori senza occupazione rispetto ai livelli pre-Covid. Al ritmo degli ultimi mesi, i disoccupati saranno assorbiti solo nell’autunno 2022”. È una data lontana, scrive Eurizon, “che merita un atteggiamento ancora ultra accomodante, ma è comprensibile che la Fed voglia tracciare con anticipo la strada per ridurre lo stimolo, così da evitare corti circuiti comunicativi all’ultimo minuto. Per questo nel FOMC dello scorso 16 giugno, la Fed ha anticipato i tempi del primo rialzo tassi al 2023 (non più 2024)”.
Ma prima di alzare i tassi, si legge nel report, “le Banche Centrali avranno altre occasioni per testare la resistenza delle economie, riducendo gli acquisti di titoli. La Fed annuncerà le sue intenzioni in autunno e ridurrà gli interventi, con ogni probabilità, nella prima metà del 2022, per interromperli nella seconda. A quel punto, se l’esperimento sarà riuscito, il rialzo dei tassi nella prima metà del 2023 sarà una naturale conseguenza”.
Per la BCE, conclude Eurizon, “il calendario va spostato in avanti di tre/sei mesi. Il piano di acquisto titoli è previsto fino a marzo 2022. Poi potrebbe proseguire, magari a ritmo ridotto, per almeno altri sei mesi. E saremmo all’autunno 2022. Per il rialzo tassi, difficilmente la BCE vorrà giocare d’anticipo sulla Fed; in questo caso i mesi centrali del 2023 potrebbero essere quelli candidati per la prima mossa di Francoforte (a patto che nel frattempo tutto sia andato bene nella lotta alla pandemia e nella ripresa dell’economia)”.