La Bce sgambetta Bpm: no al compromesso danese su Anima. Unicredit pronta a sfilarsi?

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Il compromesso danese spariglia le carte del risiko bancario. Ieri a sorpresa è arrivata prima l’indiscrezione e poi la conferma del parere negativo della Bce sull’applicazione del Danish Compromise da parte di Banco Bpm nell’Opa su Anima.
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Il semaforo rosso della Bce è una doccia fredda per i piani di Banco Bpm in quanto rende l’operazione Anima decisamente meno favorevole in termini di assorbimento di capitale. Infatti senza l’ok europeo allo “sconto danese” l’istituto milanese vedrà un assorbimento di capitale di 268 punti base in caso di acquisto del 100% di Anima rispetto a un beneficio di 17 punti nell’ipotesi favorevole.
Il Danish Compromise è misura Ue nata nel 2012 e che permette un trattamento favorevole in termini di assorbimento di capitale per gli investimenti tramite controllate assicurative effettuati da gruppi bancari. In caso di applicazione dello sconto danese il Cet1 di Bpm si manterrebbe al 14,4%, invece la non concessione porterebbe l’indicatore patrimoniale al 13,1%. Una differenza non da poco.
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Senza il Danish Compromise, come spiegato il mese scorso da Bpm, la remunerazione dei soci nell’arco del prossimo triennio dell’istituto cambierebbe in peggio: complessivi 6 miliardi rispetto ai 7 mld nello scenario di concessione dell’agevolazione patrimoniale.
E ieri il mercato si è riposizionato subito castigando Bpm, il cui titolo ha perso il 4% con lo sconto dell’Ops di Unicredit su Piazza Meda sceso all’1,9% circa. Il nodo Danish Compromise rappresenta infatti un elemento centrale per piazza Gae Aulenti che non più tardi di un mese fa ha precisato che la mancata applicazione dello sconto danese cambierebbe le carte in tavola e darebbe a Unicredit la possibilità di ritirare l’offerta. Andrea Orcel era stato molto chiaro nelle scorse settimane nel dire che l’operazione Banco Bpm su Anima consumerebbe miliardi di capitale senza Danish Compromise e questo significa, per chi come Unicredit mira a far sua la banca di piazza Meda, una diminuzione del suo valore.
Unicredit può sfilarsi
Il movimento di ieri dei titoli ha già fatto intendere che l’ipotesi di un rilancio da parte di Unicredit diventa molto più remota, ma anche l’offerta di per sé è più in bilico. Deutsche Bank sottolinea proprio come adesso sia salito il rischio che Unicredit si ritiri dall’offerta “in quanto senza il Danish Compromise il ritorno sull’investimento dell’acquisizione è più basso”. Di contro, altri analisti ritengono che per Unicredit rimane il forte senso industriale e strategico dell’operazione anche senza Danish.
Intanto, oggi in contemporanea ci saranno il cda di Bpm ufficialmente convocato per fare il punto sull’Opa Anima (che ha già superato il 45% + 1 azione di adesioni) e l’assemblea dei soci di Unicredit chiamata tra l’altro a dare l’ok all’aumento di capitale con l’emissione di nuove azioni al servizio dell’offerta di scambio su Bpm.
C’è infine l’incognita golden power. Stando a quanto riporta oggi Il Corriere, si profilano tempi più lunghi rispetto al 30 aprile che è la deadline per la valutazione finale del governo sull’Ops su Bpm. In mezzo (24 aprile) ci sarà l’assemblea per il rinnovo del cda di Generali di cui Unicredit ha rilevato oltre il 5%. Da che arte di schiererà Orcel? Le opzioni sono tre, anzi quattro: lista Mediobanca (azionista al 13,1% di Trieste, lista corta Caltagirone-Delfin oppure lista Assogestioni che ha visto al lavoro soprattutto il gruppo Intesa Sanpaolo, Poste e Fineco; ultima opzione, l’astensione.