L’ultima ossessione di Trump si chiama manipolazione valutaria. BofA paventa ‘Games of Forex’
L’ultima ossessione di Donald Trump si chiama manipolazione valutaria: un’ossessione che il presidente americano non ha mancato in diversi casi di rivelare, accusando diverse economie, nelle ultime ore soprattutto Europa e Cina. L’attacco è stato sferrato con un tweet nella giornata di ieri.
China and Europe playing big currency manipulation game and pumping money into their system in order to compete with USA. We should MATCH, or continue being the dummies who sit back and politely watch as other countries continue to play their games – as they have for many years!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 3, 2019
“La Cina e l’Europa – si legge nel tweet – stanno facendo un grande gioco di manipolazione valutaria, iniettando moneta nei loro sistemi per competere contro gli Stati Uniti. Dovremmo metterci allo stesso livello, o continuare a essere gli stupidi che rimangono seduti, guardando educatamente gli altri paesi che continuano a fare i loro giochi, così come accade da diversi anni!”
Sul banco degli imputati finiscono dunque yuan ed euro, evidentemente troppo sottovalutati nei confronti del dollaro, secondo il presidente e, per questo, ingiustamente competitivi nell’arena della guerra commerciale.
Ma il dollaro è davvero troppo forte? Secondo Ben Randol e Adarsh Sinha, il modo più semplice per rispondere a questa domanda è utilizzare un parametro che mette a confronto il tasso di cambio effettivo reale del dollaro (REER) con il trend di lungo periodo.
Tale modello mostra che il biglietto verde è scambiato a un valore superiore di circa il 13% rispetto alla media di lungo periodo.
Altre tecniche utilizzate dal Fondo Monetario Internazionale mostrano che la valuta americana è sopravvalutata dell’8-16%.
A tal proposito, nell’ultimo Rapporto di metà anno presentato al Congresso, il Tesoro Usa ha citato proprio la ricerca dell’Fmi, sottolineando che l’apprezzamento del dollaro pari a +4,5% rispetto al 2018 è preoccupante, in quanto una forza sostenuta della moneta renderebbe più gravi gli squilibri persistenti che caratterizzano la bilancia commerciale e la bilancia delle partite correnti degli Stati Uniti.
Trump, c’è da dirlo, non è stato mai un fan del dollaro forte. Tutt’altro: proprio il suo desiderio di disporre di un dollaro debole spiega, insieme ad altri fattori, i ripetuti attacchi lanciati contro la Fed, a suo avviso troppo falco, e per questo accusata continuamente di aver alzato troppo i tassi di interesse. Se non avesse alzato i tassi, sostiene Trump, il dollaro non sarebbe salito ai livelli attuali. Se, meglio ancora decidesse di abbassarli (e forse così sarà, ma non perchè lo ha ordinato lui), il dollaro scenderebbe, diventando una utilissima arma che gli Usa potrebbero sfoderare nella guerra commerciale in corso (fermo restando che le politiche monetarie della BoJ del Giappone e della Bce dell’Eurozona sono destinate a rimanere accomodanti in modo notevole, fattore che frena di per sé il margine al ribasso del biglietto verde, almeno nei confronti di queste due monete).
Trump mira insomma a un dollaro debole, e per ora si limita a manifestare il suo disappunto a colpi di tweet. Tweet che sortiscono però il loro effetto, se si considera che oggi il biglietto verde scende, proprio dopo le accuse di manipolazione valutaria che il presidente ha rivolto alla Cina e all’Europa.
Dopo tutto, la determinazione di Trump ad attaccare chi intralcia i suoi piani è nota. Sono così sempre di più gli strategist che iniziano a paventare un intervento sul forex, da parte del Tesoro americano, per abbassare il valore del dollaro.
Il Tesoro non interviene sui mercati valutari dal 2011, anno in cui si fece avanti per rafforzare la valuta, nell’ambito di uno sforzo internazionale volto a frenare lo yen, che era schizzato al rialzo dopo il terremoto e lo tsunami in Giappone dell’11 marzo di quell’anno.
In un report recente, la stessa Bank of America ha avvertito che, in questo contesto, “la probabilità che l’amministrazione Trump decida di intervenire sta aumentando in modo significativo“.
E’ da un bel po’, d’altronde, che si parla di come la guerra commerciale potrebbe trasformarsi in una vera e propria guerra valutaria. Tanto che Bank of America conia la frase Game of Forex, parafrasando la nota serie televisiva Games of Thrones, in Italia “il Trono di Spade” (l’immagine è stata pubblicata sul sito zerohedge).
Gli analisti non escludono nulla, nonostante gli Stati Uniti, alla fine di maggio, si siano frenati dal definire la Cina un paese che manipola la propria valuta (lo yuan).
“Tutte le opzioni sono sul tavolo”, hanno scritto recentemente in una nota gli analisti di Canadian Imperial Bank of Commerce.
Commentando l’ennesimo tweet infuocato di Trump sulla presunta manipolazione valutaria di cui la Cina e l’Europa sarebbero colpevoli, Sean Callow, strategist senior del forex presso Westpac Bank ha riferito alla Cnbc che ciò che lo sorprende è “il timing” dell’accusa.
“Non capisco il motivo per cui (Trump) si stia lamentando con la Cina proprio ora. Sicuramente, chi monitora davvero la moneta cinese, sa che sono due anni che la Cina ha smesso di deprezzare la propria valuta”.
Il tweet di Trump ha avuto comunque il suo effetto sul mercato del forex. Durante le contrattazioni asiatiche della sessione odierna, lo yuan offshore si è lievemente rafforzato dai 6,8847 della giornata di ieri a 6,8773, nei confronti del dollaro. Lo yuan onshore è rimbalzato a 6,8691 rispetto ai 6,8806 della vigilia.
L’euro è salito fino a $1,1284 dagli $1,1279 di ieri.
Certo, il dollaro sconta anche le scommesse degli investitori su un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve di Jerome Powell nella riunione di luglio. Sta di fatto che il tweet di Trump rinfocola i timori sull’imposizione di nuovi dazi contro l’Unione europea: una punizione che l’Ue meriterebbe, – secondo il presidente – proprio per il gioco della manipolazione valutaria che starebbe portando avanti.
L’anno scorso, Trump aveva minacciato di imporre dazi doganali del 25% sulle importazioni di auto dal blocco europeo.
Nella giornata di lunedì, dal governo americano è arrivata una nuova minaccia: quella di imporre tariffe per altri $4 miliardi su alcuni prodotti Ue, come olive, formaggi italiani e whiskey scozzese.