JP Morgan, Dimon: Guerra commerciale? “Non c’è”. Mercati emergenti? “Basta a chiamarli così”
Opportunità in India, ma anche guerra commerciale, economia globale, crisi mercati emergenti in generale: Jamie Dimon, presidente e amministratore delegato di JP Morgan, parla di tutto e di più in una intervista rilasciata alla Cnbc-TV18, negando l’assunto secondo cui ci sia una vera e propria guerra commerciale in corso, qualche giorno dopo l’ennesimo attacco sferrato da Trump contro la Cina.
“Non è una guerra commerciale, per me è piuttosto una schermaglia commerciale“, ha detto nell’intervista.
E’ da giorni che il banchiere è sotto i riflettori, dopo la frase che ha pronunciato lo scorso mercoledì nel quartiere generale di JP Morgan, a Park Avenue New York, quando ha detto che “potrebbe battere Trump” in un’eventuale campagna per le elezioni presidenziali. “E questo perchè sono tosto come lui, ma sono più intelligente di lui”.
Le sue parole hanno creato un tale frastruono che Jamie Dimon ha poi fatto dietrofront, dopo un’ora appena:
“Non avrei dovuto dire quella frase. Non sono interessato alla corsa per la presidenza”.
Tornando a come vede in questo momento i mercati, Dimon non è neanche troppo preoccupato per le vendite che hanno travolto quest’anno gli emergenti.
“Non sono davvero preoccupato per i mercati emergenti, a parte Turchia e Argentina, dove ritengo che ci siano problemi molto gravi – ha detto il banchiere – anche perchè “il resto dei mercati emergenti sta facendo in realtà abbastanza bene”.
Inoltre “l’America è più forte, il dollaro è più forte, e questo fa bene al mondo intero. L’economia mondiale sta crescendo in modo solido, i mercati emergenti possono essere paragonati a un fastidio a un dente, e tra l’altro non sono neanche tutti uguali”. Anzi, fa notare Jamie Dimon, “penso che bisognerebbe smettere di chiamarli mercati emergenti, se devo essere sincero”.
Un’opportunità interessante è, a suo avviso, l’India. Secondo l’AD di JP Morgan, gli investitori dovrebbero snobbare, in particolare, le attuali fluttuazioni della rupia, e concentrarsi piuttosto sull’ambizioso piano di riforme economiche.
“Quando vengo in India, vedo molto spesso che la gente è un po’ depressa su qualcosa – ha detto il manager, riconoscendo comunque che la caduta della rupia ha fatto alzare i prezzi dei beni – Ma state crescendo a un tasso dell’8%”.
L’approccio positivo verso il paese è stato confermato, nel corso dell’India Investor Summit a New Delhi che è stato organizzato proprio da JP Morgan, da Kalpana Morparia, ceo delle divisioni del Sud e Sud-est asiatico della banca.
“Certo, la rupia si è indebolita quest’anno…ma guardiamo alle cose in prospettiva: sono passati quasi cinque anni dal taper tantrum”, ha detto, riferendosi al fatto che l’India è stata una delle economie asiatiche a pagare maggiormente lo scotto della decisione della Fed di inaugurare un ciclo di strette sui tassi (forte, in particolare, l’ondata di sell off del 2013).
L’esperta ha ricordato inoltre che ci sono “ragioni ben precise” che spiegano il calo della moneta: tra queste, il fatto che l’India sia una grande importatrice di petrolio e che proprio ora i prezzi del crude stiano salendo. Detto questo, sebbene “la mossa improvvisa della rupia sia stata inattesa, c’è la convinzione generale secondo cui ora il suo valore sia giusto. La moneta sta dando inoltre un assist alle esportazioni indiane” (dopo essere scesa così tanto).
Dall’inizio dell’anno la rupia ha ceduto quasi -14% nei confronti del dollaro, rallentando questo mese oltre la soglia di 72 punti verso la valuta americana.
Tra i fattori positivi dell’economia indiana che Morparia ha messo in evidenza, il balzo degli utili delle aziende indiane, che è orientato, a suo avviso, a manifestarsi ancora al tasso compreso tra il 14% e il 20% indicato dal consensus.